I biocarburanti sono davvero sostenibili? L’indagine di Legambiente

Facciamo il punto sulla diatriba biofuel/e-fuel con Andrea Poggio di Legambiente e Giovanni Lozza del Politecnico di Milano.

Biocarburanti ed e-fuel
Foto di Engin Akyurt/Pexels

Nel mese di marzo, i Ministri dell’Energia dell’Unione europea hanno approvato il regolamento che prescrive lo stop ai motori termici alimentati a benzina e gasolio a partire dal 2035. L’unico voto contrario è stato quello della Polonia, mentre l’Italia si è astenuta insieme a Bulgaria e Romania. Il nostro governo chiede che, accanto all’uso dei carburanti sintetici (e-fuel), sia concesso anche quello dei biocarburanti (biofuel).

La provenienza degli oli di cottura usati

Da dove derivano, però, i biofuel attualmente in uso nel nostro Paese? Una domanda cui ha provato a rispondere Legambiente, in un report pubblicato nel mese di giugno. Tra i biocarburanti non avanzati a doppia contabilità (o incentivo) primeggiano gli oli di cottura usati (Used Cooking Oil, UCO). Quelli di origine nazionale ammontano a sole 40mila tonnellate.

“Sono invece 410mila le tonnellate di UCO che l’Italia importa dalla Cina e che, prima di approdare nelle raffinerie nazionali, sostano in Spagna, Romania e altri Paesi europei. Facendo un paragone con la raccolta differenziata in Europa, non è credibile che 500 milioni di cinesi raccolgano una simile quantità di oli usati per il mercato italiano”, chiarisce Andrea Poggio, responsabile mobilità di Legambiente.

L’origine dei grassi animali

Altre 441mila tonnellate di biocarburanti non avanzati derivano da oli e grassi animali che vengono importati da tutta Europa e che dovrebbero provenire da macellazioni di “categoria 1 o 2” (animali sospetti di malattie trasmissibili o morti per cause sospette), le uniche ammesse in doppia contabilità dalla Direttiva europea REDII.

Al contrario, gli scarti di macellazione di “categoria 3” (carni destinate all’alimentazione umana) dovrebbero essere destinati prioritariamente all’alimentazione animale o a settori come quello della cosmesi. Tuttavia, secondo un’analisi condotta da Cerulogy per conto di Transport&Environment, circa la metà dei grassi animali usati per i biocarburanti europei appartiene alla categoria 3.

biocarburanti ed e-fuel
Fonte Legambiente

L’olio di palma e l’anidride carbonica

Tra i biocarburanti avanzati, invece, si notano in modo particolare le 249mila tonnellate di effluenti degli oleifici di palma (Palm Oil Mill Effluent, POME) che, secondo il rapporto di Legambiente, finiscono spesso per essere miscelati con olio di palma grezzo. È dagli oli di palma, soia, mais e colza, destinati a essere vietati, che deriva la maggior parte dei biocarburanti a singolo conteggio.

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“Dobbiamo considerare il cambiamento dell’uso del suolo che queste coltivazioni comportano, e le emissioni di anidride carbonica che ne derivano”, continua Poggio. “Come dimostrato dalla Commissione europea, le emissioni complessive di CO2 per l’olio di palma sono mediamente triple della combustione di gasolio e per l’olio di soia sono mediamente doppie”.

biocarburanti ed e-fuel
Fonte Legambiente

L’uso dell’olio di palma è senz’altro da condannare, ma non è il caso di mettere in discussione l’intera filiera dei carburanti di origine organica: è l’opinione di Giovanni Lozza, direttore del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano. “Non saranno i biocarburanti, da soli, a risolvere il problema delle emissioni di gas serra. Questo, però, non significa che debbano essere scartati a priori dalla comunità globale: non possiamo esaminare la questione unicamente da un punto di vista italiano, mentre dobbiamo apprezzare ogni minimo contributo alla riduzione delle emissioni climalteranti”, spiega il professore. “Quello dei gas serra non è un problema che ha un’unica soluzione”.

I costi degli e-fuel e gli altri ostacoli da superare

E per quanto riguarda gli e-fuel, invece? “Effettivamente, se prodotti a partire da idrogeno verde e CO2 catturata dall’atmosfera, non sono inquinanti. Parliamo però di sistemi che sono ancora in fase di sperimentazione, con costi elevatissimi, tra i 30 e i 50 dollari al litro”, prosegue Andrea Poggio. Piuttosto, secondo il responsabile di Legambiente, bisognerebbe prioritariamente investire nell’energia elettrica rinnovabile per alimentare i settori della logistica e del trasporto pubblico.

Sul tema degli e-fuel fa il punto anche il professor Lozza del PoliMI. “È fondamentale che vengano prodotti a partire da idrogeno verde, ma credo che, al momento, sia meglio usare l’energia rinnovabile per altri scopi. L’idrogeno, comunque, dev’essere combinato con l’anidride carbonica. In questi impianti, si suppone che la CO2 venga sottratta dall’aria, per poi essere nuovamente rilasciata nell’atmosfera quando il combustibile viene bruciato. È vero che il ciclo si chiude, ma è anche vero che la CO2, dopo essere stata catturata con un dispendio energetico e dei costi molto elevati, potrebbe essere stoccata nel terreno, anziché ributtata in atmosfera”.

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Il viaggio verso l’elettrificazione dei trasporti

Accanto alle questioni legate ai carburanti alternativi, allo smaltimento delle batterie, o alla distribuzione delle colonnine di ricarica, ci sarà da ragionare, in vista del 2035, anche sulla riduzione della velocità delle automobili e sull’aumento degli spazi urbani riservati alle biciclette. Raggiungere gli obiettivi climatici, non solo quelli legati alla mobilità, non sarà facile. Tuttavia, “il percorso è tracciato. L’importante è aver intrapreso una strada virtuosa, condivisa da cittadini, decisori politici e aziende. Ora, dobbiamo affrontare il viaggio in maniera olistica, tenendo conto delle alternative più vantaggiose”, conclude Giovanni Lozza.

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Nata in provincia di Sondrio, ha studiato a Milano e Londra. Giornalista pubblicista, si occupa di questioni legate alla crisi climatica, all’economia circolare e alla tutela di biodiversità e diritti umani.