La coltivazione dell’avocado in Italia: un bene o un male?

Coltivando l’avocado in Sardegna e Calabria, l’azienda Persea vuole promuovere un nuovo modello di agricoltura rigenerativa. Il commento del CREA-OFA.

  • Persea, fondata da Paolo Frigati, metterà in commercio sei varietà di avocado biologico, prodotto in Sardegna e Calabria.
  • Ne parliamo con un esperto del Consiglio per la ricerca in agricoltura.
Persea, avocado
Le piantine di avocado © Persea

Oro verde: questo è il soprannome dell’avocado (Persea americana), specie arborea originaria del Messico e dell’America centrale. Il frutto è considerato un superfood perché contiene grassi insaturi e vitamine ed è apprezzato da moltissime persone in tutto il mondo anche per il suo sapore, tanto che la domanda supera l’offerta. L’industria genera posti di lavoro e lauti guadagni che, come racconta il primo episodio della serie Netflix Rotten, attirano l’interesse dei cartelli del narcotraffico. Le infiltrazioni criminali non sono l’unico problema che l’avocado porta con sé: le coltivazioni comportano un elevato consumo idrico e in alcune zone sono responsabili di deforestazione, perdita di biodiversità e inquinamento delle acque.

Quali sono le specie tradizionali del nostro Paese

Paolo Frigati, fondatore dell’azienda agricola Persea, vuole dimostrare che può esistere un paradigma alternativo, basato sulle tecniche dell’agricoltura rigenerativa. Con terreni di quasi 400 ettari nella zona di Ussana (provincia di Cagliari) e nella zona di Corigliano Calabro (provincia di Cosenza), produrrà sei varietà di avocado biologico, di qualità e a filiera corta.

La domanda sorge spontanea: è possibile coltivare una pianta simile in Italia? “Prima di tutto, dobbiamo capire quali specie possono essere definite ‘alloctone’. Se pensiamo alle varietà mediterranee più importanti – l’ulivo, la vite, gli agrumi –, nessuna è autoctona dell’ambiente italiano. Per questo, a mio avviso, è più corretto parlare di specie ‘tradizionali’. L’avocado non è fra queste perché, nel nostro Paese, non ha una storia paragonabile a quella degli agrumi o dell’ulivo”, spiega il professor Filippo Ferlito, della sede di Acireale del CREA-OFA. “In Sicilia, però, è presente dagli anni Cinquanta-Sessanta”.

Com’è nata Persea

I campi di Persea, che ospitano già 15mila piante di ulivo, saranno presto dotati anche di 1.500 arnie che diverranno la casa per oltre 75 milioni di api. Per di più, il 30 per cento della superficie sarà dedicato a flora spontanea e progetti di riforestazione. “L’idea mi è venuta in Mozambico, dove c’erano 40-50mila piante di avocado e di mango. Producevano in grandissima quantità e molti frutti andavano sprecati. Portarli in Italia, però, sarebbe stato troppo complicato. Nel sud del nostro Paese ci sono le condizioni climatiche idonee per la coltivazione dell’avocado, ma la diffusione resta limitata per via di varie problematiche. Abbiamo cercato una zona dove investire. Solo una parte del terreno è riservata all’avocado: è più che altro un modo per sostenere economicamente il nostro modello di agricoltura rigenerativa”. Queste le parole di Paolo Frigati, fondatore dell’azienda.

Un modello che punta sul miglioramento dell’equilibrio agroecologico del sistema agricolo e sul ripristino della fertilità dei suoli, dell’entomofauna e dell’artropodofauna utili, attraverso l’applicazione di tecniche agronomiche rispettose dell’ambiente pedoclimatico. I terreni vengono arricchiti con compost e biochar (carbone vegetale) che saranno a breve autoprodotti per stoccare CO2 nel suolo in maniera permanente, ridurre il consumo idrico (grazie alla loro funzione “spugna”) e rigenerare il terreno fornendo un habitat naturale per i microrganismi. L’utilizzo di fertilizzanti è limitato grazie all’utilizzo di colture di copertura (cover crops) arricchite di fiori.

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Come ridurre il consumo idrico

“Un suolo ricco di sostanza organica migliora la ritenzione idrica. L’avocado ha le radici nello strato superficiale del terreno, che si asciuga facilmente, ed è una pianta sempreverde molto grande. Per questo, ha un’elevata richiesta evapotraspirativa”, prosegue Filippo Ferlito. Difatti, richiede 7mila tonnellate di acqua per ettaro. Il mais, però, ne consuma 10mila. “In alcuni ambienti la carenza idrica sta diventando cronica e, quindi, risparmiare acqua in azienda è fondamentale. Anche se l’aumento delle temperature sta favorendo la coltivazione di determinate specie, i cambiamenti climatici causano lunghi periodi siccitosi ed eventi meteorologici estremi particolarmente pericolosi”.

L’azienda di Frigati avrà un’impronta idrica neutra anche grazie all’utilizzo di sistemi di irrigazione a goccia a basso consumo, e alla reintroduzione in falda dell’acqua consumata a scopo agricolo. “Anche se non può essere coltivato dappertutto, l’avocado è una specie che, rispetto ad altre colture arboree tropicali e subtropicali, si adatta più facilmente alle condizioni climatiche. L’Hass è la varietà che resiste meglio alle basse temperature, oltre ad avere delle migliori caratteristiche qualitative”, continua il referente CREA-OFA. “In alcune zone c’è il rischio che l’avocado vada a competere con il limone, cioè la coltura principale della costa ionica della Sicilia, e col mercato agrumicolo in generale. In realtà, una convivenza pacifica è possibile”.

Persea, avocado
L’avocado è una pianta che si adatta più facilmente di altre specie arboree tropicali e subtropicali © Persea

Un aiuto arriva dalla tecnologia

I partner di Persea sono Rete Clima, no profit che combatte i cambiamenti climatici promuovendo azioni di Corporate Social Responsibility, e Green Future Project, piattaforma BCorp che permette alle imprese di investire in progetti di conservazione della natura. La tecnologia consentirà, da un lato, di monitorare l’andamento delle coltivazioni in tempo reale e di ottimizzare i consumi. Dall’altro, grazie a questa partnership, Persea emetterà dei crediti di sostenibilità in grado di restituire il valore multifunzionale delle aree verdi; l’emissione sarà “tokenizzata” tramite tecnologia blockchain che contribuisce a risolvere il problema della tracciabilità.

Unico avvertimento? “Come ha viaggiato il Covid, viaggiano anche le malattie delle piante. In agrumicoltura, per esempio, abbiamo vissuto il dramma del Citrus tristeza virus e ora temiamo l’arrivo del huanglongbing. Sarebbe opportuno che l’Italia si dotasse di un sistema vivaistico autosufficiente per la produzione di piante certificate, oltre a rafforzare i controlli fitosanitari”, conclude Ferlito. “È importante anche prevenire l’ingresso di specie aliene: pensiamo al caso della cimice asiatica, oppure a quello del punteruolo rosso”. Più che un avvertimento, parrebbe un’ulteriore buona motivazione per scegliere ortaggi e frutti prodotti su scala locale.
Rispetto è la parola chiave per un consumo consapevole: rispetto per la terra, per i suoi doni, e anche per le stagioni.

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Nata in provincia di Sondrio, ha studiato a Milano e Londra. Giornalista pubblicista, si occupa di questioni legate alla crisi climatica, all’economia circolare e alla tutela di biodiversità e diritti umani.