L’osservatorio H2IT illustra i numeri dell’idrogeno nel nostro Paese

Nonostante l’aumento del costo di materiali ed energia, crescono gli investimenti delle aziende per l’idrogeno. Mentre attendono gli incentivi, le imprese scelgono la collaborazione

idrogeno

Lo studio di H2IT e Intesa Sanpaolo

Lo scorso 10 novembre H2IT, Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile e la direzione studi e ricerche e l’innovation center di Intesa Sanpaolo, hanno presentato, durante Key energy, “l’Osservatorio H2IT: I numeri sul comparto idrogeno italiano”.

L’analisi è un’anteprima dei risultati dell’Osservatorio sulle aziende associate ad H2IT che rappresentano tutta la catena del valore dell’idrogeno dalla produzione fino agli usi finali.

La direzione studi e ricerche Intesa Sanpaolo ha realizzato l’inchiesta a ottobre 2022. L’indagine fotografa un settore in crescita ma ancora poco sviluppato: l’incidenza dell’idrogeno sul fatturato totale è stata infatti pari in media al 6% nel 2021. Inoltre è l’unico nel panorama manifatturiero nazionale per la forte presenza di alleanze di tipo industriale.

Per oltre il 70% delle aziende del campione, l’innovazione in ambito idrogeno nasce dalla collaborazione con altre aziende, fattore che lo rende quindi terreno fertile per l’open innovation.

Gli investimenti guidano le scelte imprenditoriali

L’indagine sottolinea chiaramente il ruolo centrale degli investimenti per le imprese della filiera dell’idrogeno, che si trovano ad affrontare le importanti sfide, tecnologiche e non, dovute alla transizione energetica.

Nello specifico, oltre il 70% delle imprese ha al suo interno un’area R&D dedicata esclusivamente all’idrogeno e il 7% ha comunque intenzione di strutturarsi in tal senso.

Analizzando le aspettative per fine anno, il 67% degli intervistati chiuderà il 2022 con un aumento degli investimenti rispetto al 2021.

Gli investimenti per l’idrogeno sono ancora in modo prevalente realizzati con mezzi propri, il 67% del totale finanziato.

L’intervento dei fondi pubblici, sia nazionali e regionali, 13% che comunitari, 10% è ancora marginale. Sono utilizzati maggiormente dalle aziende più piccole che hanno un minore accesso al capitale privato (banche e fondi).

Alberto Dossi, presidente di H2IT spiega infatti: “La sensibilità dei legislatori europei ed italiani e dell’opinione pubblica nei confronti dell’idrogeno non è mai stata così alta. La crisi energetica sta spingendo i Paesi del Vecchio Continente, Italia compresa, a cercare alternative all’approvvigionamento classico, e si iniziano a vedere i primi risultati.

La partecipazione a bandi pubblici è comunque elevata, sia nel caso di bandi europei con il 60% delle imprese sia nel caso di bandi nazionali, 72%.

In termini di fatturato, il 62 % delle aziende si aspetta una crescita a fine 2022 rispetto al 2021.

Gli effetti della crisi energetica e geopolitica

Nonostante le difficoltà macroeconomiche del momento, lo sviluppo del comparto idrogeno non si è arrestato. La metà del campione ritiene il loro coinvolgimento nel mercato dell’idrogeno non ancora pregiudicato dal contesto attuale.

Addirittura alcune imprese stimano dei risvolti positivi: il 38% scorge in questa situazione nuove opportunità di business e sta quindi accelerando gli investimenti.

Quindi l’accelerazione che l’attuale contesto economico e geopolitico sta dando alla transizione energetica può favorire la crescita del settore.

Benefici anche per l’occupazione

Nel suo studio “Pianeta Idrogeno” dello scorso anno, l’Enea afferma che il mercato dell’idrogeno potrebbe creare da 300 a 500 mila posti di lavoro in più entro il 2050 nel nostro Paese.

La notizia è ottima, però si scontra con la realtà attuale. Secondo le imprese, il settore dell’idrogeno subisce le difficoltà nel trovare figure specializzate sia a livello tecnico operativo che progettuale. Il 66% dei profili ricercati, infatti, sarebbe di difficile reperimento, con punte fino al 77 % per i tecnici specializzati

Mancano soprattutto i project manager, a testimonianza dell’importanza che le attività progettuali e prototipali hanno in questa fase iniziale di sviluppo industriale del settore.

Le criticità possono essere risolte solo con l’aiuto delle istituzioni pubbliche

Il 79% delle aziende soffre soprattutto la mancanza di un quadro normativo chiaro, seguito dall’incertezza di una domanda di mercato non ancora definita, 69%.

La metà teme, inoltre, che la generazione da rinnovabili sarà insufficiente per la produzione dell’idrogeno verde. Anche la quota di aziende che ritiene troppo elevati i costi delle tecnologie risulta sensibile, con il 50%.

A questo si aggiunge l’83% che ritiene gli obiettivi Repower EU di produzione a livello europeo di 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde nel 2030 raggiungibili solo con forti interventi politici.

Non sorprende, quindi, che le misure indicate dalle aziende come prioritarie per lo sviluppo del settore siano tutte riferite all’intervento pubblico.

Tra queste, la definizione di normative e regolamenti a livello nazionale, seguita da maggiori investimenti per la creazione della domanda e dalla definizione di piani strategici a livello nazionale.

“In uno scenario altamente complesso e incerto, soprattutto sul versante energetico, è necessario accelerare sul piano della transizione energetica. L’idrogeno avrà un ruolo importante in questo senso, e non a caso, quasi il 40% delle imprese intervistate segnala come nell’attuale contesto si stiano creando nuove opportunità di business, ampliando i propri investimenti. Concludono Letizia Borgomeo e Anna Maria Moressa, economiste della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, che hanno curato l’analisi.

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