Guardare oltre al motore di ricerca e valorizzare uno skill di qualità riconosciuta a livello globale in nome dell’ambiente. Google, una delle più note e grandi aziende informatiche statunitensi, oltre ad essere carbon neutral da più di 10 anni si impegna per fornire strumenti che possano aiutare le persone a migliorare l’impatto ambientale e a intraprendere azioni sostenibili.

Non stupisce quindi l’interesse per l’industria del fashion, uno dei comparti a più alto impatto ambientale a livello mondiale. Si tratta di un progetto pilota per misurare l’impatto ambientale del comparto. La tecnologia è di Google Cloud ed è stata presentata all’ultimo Copenhagen Fashion Summit insieme a Stella McCartney.

Cerchiamo di capire di più sulla tecnologia e la vision del colosso di Mountain View in questa intervista a Ian Pattison, Head of Google Cloud Architecture, UK nominato recentemente Head of Retail Customer Engineering di Google Cloud UK.

Come possono data analytics e machine learning su Google Cloud dare un supporto all’industria del fashion?

Google mette in campo tutte le proprie risorse per lavorare su progetti in cui l’impatto positivo generato dalla nostra tecnologia possa essere realmente significativo, piuttosto che ottenere un miglioramento marginale (facciamo riferimento infatti a un impatto 10x). Chiamiamo questi progetti “moonshot”, come quello che abbiamo intrapreso con l’industria della moda, dove il nostro obiettivo è quello di utilizzare Google Cloud machine learning engine per offrire alle aziende una visione più completa della propria filiera, soprattutto in fase di produzione delle materie prime. In particolare, ci impegniamo per analizzare l’impatto delle varie fonti di approvvigionamento. Inizieremo quest’analisi partendo dal cotone e dalla viscosa, ma la nostra ambizione è quella di sviluppare ulteriormente il progetto ed estenderlo ad altri materiali.

La tecnologia di Google Cloud sarà usata per analizzare diversi data-set e per aiutare le aziende a valutare le decisioni relative alle fonti di approvvigionamento in maniera più semplice e immediata, idealmente con un maggior numero di informazioni in tempo reale. Più ampia sarà la collaborazione tra brand, produttori e industria, migliori saranno i risultati di questo esperimento. Con data-set più strutturati e integrati abbiamo già la possibilità di contribuire ad aumentare la trasparenza relativa all’impatto della supply chain della moda. Speriamo che nel futuro – sfruttando le potenzialità dell’apprendimento automatico – le aziende siano in grado di prendere decisioni più sostenibili in materia di approvvigionamento delle materie prime.

Per studiare l’andamento di cotone e viscosa, quali elementi saranno presi in considerazione? Quando si avvierà e quanto durerà questo test sul settore?

Al momento stiamo ancora lavorando per capire quali siano i dati più utili per valutare l’impatto ambientale nella produzione di cotone e viscosa, in diverse regioni, a livello globale (la granularità dipende dalle partnership e dalla disponibilità dei dati). Nell’ambito di queste valutazioni saranno prese in considerazione: la scarsità dell’acqua, le emissioni dei gas serra e l’inquinamento idrico e atmosferico.

L’obiettivo è quello di fornire alle aziende gli strumenti per prendere decisioni più consapevoli, fondate su una maggiore ricchezza di informazioni e sulle loro esigenze. Al tempo stesso, vogliamo dare loro la possibilità di identificare le opportunità di collaborazione con gli agricoltori e con i territori, per mettere in atto programmi per la riduzione dell’impatto ambientale. Per esempio, una migliore gestione delle irrigazioni o la sostituzione della semina piana con quella in solchi può ridurre la necessità di consumo di acqua e l’uso di fertilizzanti organici contribuisce al miglioramento della qualità del suolo.

State lavorando a progetti simili in altri settori? L’intenzione è di sviluppare un  tool open source?

Stiamo utilizzando le tecnologie di Google Cloud per supportare molti altri settori. Prendiamo ad esempio The Telegraph, il quotidiano con più vendite nel Regno Unito che stampa e distribuisce centinaia di migliaia di copie al giorno. Grazie all’uso di questo strumento, The Telegraph è in grado di prevedere la domanda di copie cartacee e gestire in modo ottimale la stampa, minimizzando lo spreco di carta.

I progetti su cui stiamo lavorando hanno l’obiettivo di ridurre l’impatto sull’ambiente generato dalla produzione di materie prime fornendo una maggiore visibilità della filiera, nonché tempi più rapidi per ricevere insights dai dati e per prendere decisioni più responsabili, sin dalla produzione delle materie prime stesse. Siamo ancora agli inizi di questo esperimento in collaborazione con Stella McCartney e altri rivenditori nel mondo del lusso, dello sport e della moda, quindi è molto difficile prevedere dove questo ci porterà. Tuttavia, come abbiamo fatto con altri progetti simili, la nostra intenzione è quella di trasformare questo strumento in un open source.

Perché il cloud è più sostenibile per l’ambiente rispetto all’avere un data base interno?

Come società siamo il più grande acquirente aziendale di energia rinnovabile al mondo. Dal 2007, acquistiamo quantitativi di energia da fonti rinnovabili pari al 100% del nostro consumo di energia, incluso il consumo dei data center. Ciò significa che, ogni anno, acquistiamo una quantità di energia elettrica rinnovabile pari (o maggiore) all’elettricità totale consumata dalle nostre attività nel mondo.

Quanto consuma in energia e in dispersione di calore il cloud di Google? Cosa state facendo per ottimizzare questa dispersione?

Sappiamo che il modo migliore per conservare energia è quello di non usarla. Ecco perché i data center di Google sono progettati, costruiti e gestiti per massimizzare l’uso efficiente delle risorse.

Un nostro data center consuma cinque volte meno energia, rispetto alla media

In media, un nostro data center utilizza il 50% di energia in meno rispetto a uno standard e offre una potenza di calcolo sette volte maggiore per ogni kWh di elettricità consumata rispetto a cinque anni fa. Nel 2018, il dato di Power usage effectiveness medio annuale (PUE) – una misura dell’efficienza dei data center – era di 1.11 per i data center globali di Google, rispetto a 1.58 della media del settore. Possiamo quindi dire che un nostro data center consuma cinque volte meno energia, rispetto alla media.

Per ottenere ulteriore efficienza energetica, abbiamo iniziato a implementare l’intelligenza artificiale per il raffreddamento e il controllo industriale dei nostri data center. Questo sistema di AI controlla direttamente il raffreddamento, pur restando sotto la supervisione diretta degli operatori esperti dei call center. L’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi di raffreddamento ha portato risparmi energetici fino al 30% in molti dei nostri data center.

Quali altre azioni Google sta mettendo in atto per limitare il proprio impatto ambientale?

Google si impegna costantemente per ridurre il proprio impatto ambientale nel consumo di acqua, energia e altre risorse naturali. Oltre ai progetti già citati, per esempio, abbiamo creato oltre 1 milione di metri quadrati di uffici certificati LEED e ricicliamo oltre il 75% dei nostri rifiuti. Inoltre, rendiamo disponibili strumenti che possano aiutare persone, aziende ed organizzazioni a ideare e realizzare progetti sostenibili. Tra questi, l’iniziativa Global Fishing Watch e Global Forest Watch. Tutte le informazioni su questi progetti e i nostri Report di Sostenibilità si possono trovare sul sito www.google.com/green.

 

 

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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.