Novatek: “non si può fare a meno del GNL russo”

Stati Uniti, Qatar e Russia: i soli in grado di far fronte alla domanda mondiale di GNL. Cooperazione è chiave per la stabilità.

I primi a pagare le conseguenze delle sanzioni UE contro il GNL russo saranno i consumatori europei, costretti ad affrontare l’impennata dei prezzi a fronte della crescente domanda globale. Non ha mezzi termini Leonid Mikhelson, presidente Consiglio Amministrazione di Novatek, parlando al Forum Economico Eurasiatico di Istanbul.

Con il 19° pacchetto sanzioni di ottobre 2025, l’Europa si appresta ad azzerare gli import di gas dalla Russia tramite gasdotti. E se finora le maglie erano state larghe nei confronti del GNL, con le recenti restrizioni (comprese le modifiche al REPowerEU votate dalla Commissione ITRE il 16 ottobre scorso), neanche il GNL sarà risparmiato. I provvedimenti UE sono il colpo più duro finora inferto al colosso Novatek: il 1° gennaio 2027 segna la cessazione dei flussi di gas liquido per i contratti a lungo termine.

Principale esportatore privato di GNL russo, con volumi verso l’UE pari a 21,2 Mt nel 2024 (+5% sul 2023), Novatek concentra la sua produzione nell’Artico, tramite gli impianti Yamal LNG e Arctic LNG2.

Il paradosso delle sanzioni

Nonostante gli sforzi per ridurre la dipendenza energetica da Mosca, le importazioni europee di gas naturale liquefatto dalla Russia sono aumentate nell’ultimo anno. Secondo lo European LNG Tracker della IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis), l’import europeo di GNL da Stati Uniti e Russia ha raggiunto livelli record nel primo semestre 2025, facendo registrare un +7% su base annua.

Sempre secondo la IEEFA, il consumo di gas in Europa dovrebbe iniziare a diminuire già dal prossimo anno, con una riduzione del 15% tra 2025 e 2030.  Ma il numero uno di Novatek sembra pensarla diversamente.

Leonid Mikhelson Novatek
Leonid Mikhelson_Novatek

I progetti di GNL non sono più legati alle regioni di consumo: il mercato è diventato globale. Oggi, la Russia produce più del 10% di tutto il GNL mondiale. Questi volumi troveranno comunque altri mercati. Escluderli dalla bilancia globale del gas non è possibile. I prezzi schizzeranno e chi pagherà il prezzo più salato saranno proprio i consumatori europei. Ricordate il 2021, quando il prezzo è salito a oltre 35 $/MMbtu? Ecco perché oggi è importante mantenere la bilancia energetica ed evitare la crisi”.

Il piatto è povero e va spartito

Dov’è finito il “transition-away” dai fossili?

Gli analisti concordano sul fatto – continua dal palco del Çırağan Palace il magnate russo – che la domanda globale di idrocarburi è destinata a crescere. Attualmente i consumi globali di gas superano i quattromila miliardi di m3 e si proiettano verso i cinquemila miliardi al 2050. La domanda “come facciamo a ridurre il gas?” viene gradualmente sostituita da un altro interrogativo, uguale e contrario: “come facciamo a soddisfare la domanda di gas”?

E qui arriva puntuale la richiesta di tornare a investire nel settore fossile. Attualmente, i progetti legati a Oil, Gas e carbone – che rappresentano l’86% del mix energetico globale – ricevono investimenti pari a circa 1.100 miliardi di dollari l’anno. Le energie pulite (nucleare, idroelettrico e rinnovabili), che coprono solo il 14% del mix, ricevono invece il doppio degli investimenti, circa 2.200 miliardi di dollari. Proseguire con questa sproporzione negli investimenti è insostenibile, poiché la disponibilità di fossili non è più adeguata a garantire combustibili a basso costo.

“Dobbiamo capire come soddisfare questa domanda. Entro il 2050, si prevede che il mercato GNL, da solo, possa crescere dagli attuali 450 ai 720 miliardi m3.  Queste risorse sono a portata solo di Qatar, Stati Uniti e Russia. Il Qatar intende aumentare la produzione. Ma anche il potenziale americano non è inesauribile. Bisogna considerare i consumi domestici, perché i data center in America richiederanno altri cento miliardi di m3”, avverte Mikhelson.

La risposta è in Siberia. Anche ipotizzando che Stati Uniti e Qatar riescano a potenziare la produzione con altri 150 miliardi di m3, resterebbero ancora da compensare 150 miliardi per colmare il divario. Dove trovarli? Nell’Artico, appunto. Poiché i nuovi giacimenti si trovano lì.

Da Sin. Schilling Mikhelson Komarov Yaman Simonov
Da sin. Schilling_Mikhelson_Komarov_Yaman_Simonov

Inoltre, i costi di esercizio a queste latitudini hanno un consumo energetico ridotto, il che rende più economico il processo di liquefazione. Anche la nuova amministrazione USA ne ha riconosciuto il potenziale, tanto che valuta di sviluppare giacimenti in Alaska.

E allora con quali alternative l’Europa sostituirà il GNL di Mosca? Lo scenario è fluido e differenziato. E la Turchia potrebbe aprire nuovi scenari.

L’Affaire Turchia: un nuovo crocevia del gas per l’Europa

Non sfugge un riferimento alla Turchia da parte di Mikhelson. “Il 90% della prodizione mondiale di gas proviene da vecchi giacimenti in calo produttivo. La base delle risorse sta cambiando: circa il 30% del gas viene ora estratto da scisti. In Turchia, il consumo ha raggiunto i 60 miliardi di m3. Il ministro dell’energia turco ha spiegato che è stato lanciato un nuovo giacimento nel Mar Nero, e che coprirà il 10% del fabbisogno nazionale. Però si tratta di miliardi di m3, quando servono migliaia di miliardi”, lancia l’amo il presidente di Novatek.

Che la Turchia puntasse ad essere un importante hub del gas non è una novità. E nemmeno che contribuisse all’approvvigionamento europeo tramite TurkStream e TANAP. Come ricorda lo stesso ministro dell’Energia Alparslan Bayraktar, presente al Forum, “Abbiamo accordi di partnership storica con Russia, Azerbaigian e Iran”.

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Hall del Çırağan Palace_Istanbul_Foto Ilaria C. Restifo

Resta il fatto che lo scorso settembre la compagnia statale Botas ha siglato a New York un accordo ventennale con la statunitense Mercuria per 70 miliardi di metri cubi di GNL a partire dal 2026.

Pertanto, la Turchia muove le sue pedine su diversi fronti con l’ottica non solo di diventare un imprescindibile hub del gas, ma anche di assicurarsi le migliori condizioni di fornitura, essendo essa stessa un grosso importatore.

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Così, se da un lato, non essendo membro dell’UE, la Turchia non è vincolata dal regime sanzionatorio, dall’altro sembra si stia muovendo per destinare la quota di gas russo al consumo domestico e quella del GNL statunitense all’approvvigionamento europeo. È lo stesso Bayraktar a rivendicare l’espansione delle infrastrutture di rigassificazione (capacità di ricezione: 58 miliardi di m3) anche ai fini dell’export.

Nonostante sanzioni UE più rigorose in fatto di certificazioni di origine, un anello debole per l’efficacia dei provvedimenti potrebbe essere il gas blending, che cioè il gas russo venga consegnato ai terminali turchi e mescolato con GNL di altra origine, vista l’impossibilità di rintracciare le molecole una volta mischiate. Ma questa è un’altra storia.


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Consulente e ricercatrice freelance in ambito energetico e ambientale, ha vissuto a lungo in Europa e lavorato sui mercati delle commodity energetiche. Si è occupata di campagne di advocacy sulle emissioni climalteranti dell'industria O&G. E' appassionata di questioni legate a energia, ambiente e sostenibilità.