Fusione nucleare inerziale: pro e contro della tecnologia sperimentata con successo negli Stati Uniti

Un esperimento di fusione nucleare negli Stati Uniti avrebbe prodotto più energia di quella richiesta. È proprio così? Risponde Marco Ripani, ricercatore dell’INFN.

  • Ricercatori californiani hanno portato a termine una fusione nucleare che ha generato 3,15 megajoule di energia contro i 2,05 MJ serviti per innescarla.
  • Il Dipartimento dell’Energia statunitense parla di svolta “storica”, ma quanto tempo ci vorrà prima di vedere delle applicazioni pratiche?
  • Ne parliamo con Marco Ripani, ricercatore dell’INFN.
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Un impianto per la produzione di energia nucleare negli Stati Uniti © Jakob Madsen/Unsplash

“Abbiamo fatto la storia”. Con queste parole di Dipartimento dell’Energia statunitense, il 13 dicembre, ha rivelato che un esperimento condotto in un laboratorio californiano ha portato alla prima fusione nucleare che ha prodotto più energia di quella che ha richiesto. Ha generato, infatti, 3,15 megajoule di energia contro i 2,05 MJ serviti per innescarla. In una conferenza stampa nella capitale, la segretaria dell’Energia Jennifer Granholm ha parlato di una “pietra miliare”: cerchiamo di capire perché.

Cos’è la fusione inerziale

“È stato condotto un nuovo esperimento della cosiddetta fusione ‘inerziale’: si tratta di una delle diverse tecnologie con cui si può fare la fusione nucleare, che utilizza molti laser di grande potenza. Questi laser vengono indirizzati verso un piccolo bersaglio che consiste praticamente in una goccia di una miscela di deuterio e trizio, che sono due nuclei chimicamente uguali all’idrogeno, ma più pesanti perché hanno dei neutroni in più. Bombardando questa goccia con i raggi laser, si crea una situazione di compressione, quindi di grandissima densità ed elevatissima temperatura. Questa è una delle condizioni che possono innescare la reazione di fusione nucleare”, spiega Marco Ripani, ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN). “La tecnica della fusione inerziale viene impiegata già da molti anni, ma la grossa novità di questo esperimento è che si è riusciti apparentemente ad ottenere, dalla reazione, più energia di quella immessa nel sistema. In tutti gli esperimenti di fusione svolti finora, questo risultato non era mai stato raggiunto”.

Quali sono le sfide da superare per un’applicazione su larga scala

Sembrerebbe tutto troppo bello per essere vero. Non a caso, ci sono diverse questioni da chiarire, oltre a vari ostacoli da superare, per poter applicare questa tecnologia nel mondo “reale”, se così possiamo chiamare quello che ognuno di noi sperimenta quotidianamente fuori dai laboratori scientifici. “Non si può dire che, complessivamente, il centro statunitense abbia ottenuto energia netta, perché i laser ne consumano moltissima. L’energia elettrica che richiedono è all’incirca cento volte maggiore. Attualmente, non è un procedimento applicabile per la generazione di elettricità”, chiarisce Ripani.

“Un’altra questione riguarda la durata del processo. Nel caso della macchina europea JET, che si trova nel Regno Unito, la reazione di fusione, anche se non ha generato più energia di quella immessa, è durata cinque secondi. Può sembrare poco, ma in realtà è tantissimo. Nel caso dell’esperimento americano, parliamo di una reazione durata una minuscola frazione di secondo. Un sistema che genera elettricità, invece, dovrebbe farlo in maniera abbastanza continua”.

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La centrale nucleare di Doel, in Belgio © Frédéric Paulussen/Unsplash

Il nucleare nella tassonomia europea

Il Parlamento europeo non ha respinto l’atto delegato sulla tassonomia della Commissione che prevede l’inclusione di specifiche attività energetiche dei settori del gas e del nucleare nell’elenco delle attività economiche “sostenibili”. La decisione, presa quest’anno, ha suscitato polemiche da parte di molti cittadini e di varie organizzazioni ambientaliste, fra cui Greenpeace, secondo cui l’inclusione di gas e nucleare nella tassonomia viola il regolamento sulla tassonomia stessa (Reg. EU 2020/852), la Legge europea sul clima (Reg. EU 2021/1119) e gli obblighi dell’Ue definiti dall’Accordo di Parigi del 2015.

La neutralità tecnologica dell’INFN

L’INFN non ha una posizione ufficiale in merito, essendo un istituto di ricerca: è “tecnologicamente neutrale”. “Tuttavia, svolgiamo delle attività che possono essere di supporto per determinati progetti”, prosegue il ricercatore. “Per quanto riguarda la fissione, senz’altro un’attività degna di nota è un esperimento in corso al CERN di Ginevra che raccoglie dati su reazioni nucleari che sono di interesse per il funzionamento dei reattori a fissione, in particolare per quelli di nuova generazione. Svolgiamo anche alcune attività che riguardano possibili tecnologie per trattare i rifiuti nucleari e per la sorveglianza radiologica. Abbiamo iniziative a supporto della fusione che riguardano soprattutto i materiali che verranno impiegati per i reattori, e partecipiamo al progetto italiano DTT. Proposto nel 2015 dall’Enea con il supporto di vari stakeholder internazionali, è un nuovo progetto dedicato alla fusione nucleare nel nostro Paese.

Leggi anche: Al via la sfida italiana della fusione nucleare

Concludendo, Marco Ripani esprime un parere personale riguardo all’energia nucleare che, come detto, non è da intendersi come posizione ufficiale del suo istituto, né della testata che la riporta. “Al momento, non ci sono elementi per ritenere che il nucleare da fusione possa essere disponibile nell’arco di breve tempo, salvo sorprese. Il nucleare da fissione, quello di cui disponiamo oggi, sta diventando sempre più sicuro rispetto al passato. È un tipo di energia che, durante il funzionamento, non emette sostanze inquinanti o climalteranti. Anche per la gestione dei rifiuti radioattivi esistono e si stanno sviluppando soluzioni che appaiono molto sicure. Le centrali funzionano a lungo e, in un mix comprendente anche le energie rinnovabili, potrebbero contribuire a raggiungere in tempi brevi la neutralità carbonica”.

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Nata in provincia di Sondrio, ha studiato a Milano e Londra. Giornalista pubblicista, si occupa di questioni legate alla crisi climatica, all’economia circolare e alla tutela di biodiversità e diritti umani.