IL12 agosto scorso sono state avviate le procedure di Valutazione ambientale strategica (Vas) per la realizzazione del termovalorizzatore a Roma che prevede una road map definita. Entro il 30 settembre sono attese le osservazioni alla Vas. Seguiranno poi 15 giorni per integrare tali osservazioni attraverso un lavoro di revisione. Il 15 ottobre si entrerà dunque nel vivo con la pubblicazione dei bandi di gara, le manifestazioni di interesse delle aziende che si candideranno a realizzare gli impianti e l’assegnazione dei lavori.

Il primo target che l’amministrazione capitolina si è posta è quello di ridurre dell’8% la produzione complessiva di rifiuti entro il 2030. Il secondo è il raggiungimento per Roma del 65% di raccolta differenziata per il 2030 e del 70% entro il 2035. L’area identificata per la costruzione dell’impianto è nel IX Municipio, in località Santa Palomba.

Molto si discute quindi del tema termovalorizzatore in rapporto ai principi dell’economia circolare. Per meglio comprendere il fondamento giuridico della questione, oltre che politico, con riferimento anche agli obiettivi della transizione ecologica e del Pnrr, Canale Energia ha intervistato l’ex magistrato Gianfranco Amendola che nei suoi anni di servizio in qualità di procuratore della Repubblica si è occupato principalmente di reati ambientali.

Gianfranco Amendola
L’ex magistrato Gianfranco Amendola che nei suoi anni di servizio in qualità di procuratore della Repubblica si è occupato principalmente di reati ambientali.

Partendo dalla volontà di realizzare un termovalorizzatore a Roma, cosa impone agli Stati la normativa comunitaria, in particolare nel quadro della gerarchia dei rifiuti?

Basta leggere l’art. 4 della vigente direttiva sui rifiuti il quale stabilisce che: “La seguente gerarchia dei rifiuti si applica quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento”.

Appare pertanto evidente che la normativa europea impone agli Stati membri di rispettare una precisa gerarchia in cui la prevenzione si colloca al primo gradino, il recupero come materia al secondo, il recupero come energia al terzo e lo smaltimento all’ultimo. Dove, sia chiaro, gerarchia non significa che si può scegliere indifferentemente tra le varie opzioni ma che, invece, vi è l’obbligo di considerarle seguendo nell’ordine la precisa scala di priorità imposta dall’Europa.

Allora, la prima cosa da fare è prevenire e ridurre la produzione dei rifiuti: adottare cioè misure che limitano l’uso di prodotti destinati a diventare rifiuto. Al secondo posto, per quello che non si può prevenire, troviamo riutilizzo e riciclaggio (senza cambiamento di stato), che non provocano alcuna alterazione ambientale e distruzione di risorse. Al terzo posto, troviamo il “recupero di altro tipo”, cioè quello che avviene attraverso termovalorizzatori (con cambiamento di stato, da solido, ma con recupero di energia) e all’ultimo lo smaltimento bruto nell’ambiente (senza alcun recupero) attraverso discariche ed inceneritori.

Quindi, per la UE, si può ricorrere ai termovalorizzatori solo per i rifiuti che, in base alle prime due opzioni, non si possono evitare e non si possono riutilizzare o riciclare. In coerenza, peraltro, con il proposito di realizzare una società del riciclaggio da contrapporre, attraverso il ricorso alla raccolta differenziata, allo smaltimento in discarica o in inceneritori.

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Secondo i dati di Ispra, in Italia sono attivi 37 termovalorizzatori. In tema di recepimento, qual è stato il comportamento della legislazione italiana?

Molto contraddittorio. Mentre nel decreto Ronchi del 1997 si teneva conto della gerarchia comunitaria sopra riportata, nove anni dopo, nella prima formulazione del Tua (D. Lgs 152/06) approvata dal governo Berlusconi-Matteoli, scompariva inspiegabilmente la preferenza per il recupero come materia rispetto a quello energetico, in quanto, come si legge nella relazione introduttiva, occorre provvedere alla “ridefinizione delle priorità nella gestione dei rifiuti in conformità a quelle stabilite dalla normativa comunitaria, senza porre gradi di gerarchia fra il recupero di materia prima secondaria ed il recupero energetico”. Pertanto, il recupero energetico tramite termovalorizzazione veniva equiparato al recupero come materia senza alcuna scala di priorità. Fortunatamente, due anni dopo, il decreto correttivo n. 4/2008 del governo Prodi-Pecoraro Scanio inseriva nell’art. 179 del Tua un comma 2, secondo cui “nel rispetto delle misure prioritarie di cui al comma 1, le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante riutilizzo, riciclo o ogni altra azione diretta ad ottenere da essi materia prima secondaria sono adottate con priorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte di energia”, rientrando così nell’alveo della legalità comunitaria.

Tuttavia, il c.d. decreto Sblocca Italia del governo Renzi del 2014, confondeva nuovamente la situazione in quanto, dettando “Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani”, prescrive che venga programmata una rete di inceneritori per coprire tutto il fabbisogno nazionale, che “tali impianti di termotrattamento costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente” e che “i termini previsti per l’espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1, sono ridotti alla metà”. Una scelta strategica generale a favore, quindi, dei termovalorizzatori presentata in palese contrasto con la gerarchia comunitaria, come opzione nazionale primaria per la soluzione definitiva del problema dei rifiuti urbani.

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In che rapporto stanno termovalorizzazione e Pnrr?

Sin dal 2017, la Commissione europea ha ricordato che “va ridefinito il ruolo dell’incenerimento dei rifiuti – attualmente l’opzione prevalente della termovalorizzazione, ndr – per evitare che si creino sia ostacoli alla crescita del riciclaggio e del riutilizzo sia sovraccapacità per il trattamento dei rifiuti residui. La Commissione ribadisce il proprio impegno per garantire che i finanziamenti dell’UE e altri aiuti finanziari pubblici siano destinati alle opzioni per il trattamento dei rifiuti che sono conformi alla gerarchia dei rifiuti, e che sia data la priorità alla prevenzione, al riutilizzo, alla raccolta differenziata e al riciclaggio dei rifiuti”. Tanto è vero che ipotizza “varie misure per introdurre una moratoria sui nuovi impianti e smantellare quelli più vecchi e meno efficienti”.

Coerentemente con queste premesse, il Pnrr, tutto incentrato sull’obiettivo dell’economia circolare e sulla lotta ai cambiamenti climatici, non vede con favore la termovalorizzazione. Nelle recenti linee guida pubblicate in proposito dalla Commissione EU sull’interpretazione del principio “non arrecare danno significativo all’ambiente”, l’incenerimento dei rifiuti è considerato infatti un’attività che arreca un danno significativo all’ambiente. Proprio per questo, gli impianti che bruciano rifiuti per produrre energia, sono esclusi dalla tassonomia della finanza UE. Anche nel Regolamento Ue 2020/852 la tassonomia Ue non include l’incenerimento tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici.

Quindi, in sostanza, si conferma che la costruzione di nuovi termovalorizzatori non potrà beneficiare di finanziamenti comunitari.

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Quali alternative al termovalorizzatore di Roma?

L’unica alternativa è rifarsi alla normativa europea ed alla scala di priorità sopra illustrata. Non si può partire dal termovalorizzatore come opzione principale. Prima occorre adottare misure per prevenire la formazione di rifiuti (ovviamente, incidendo sui prodotti), poi occorre riciclare e, per fare questo, occorre attuare una raccolta differenziata, vera e porta a porta, non come quella di oggi, che è così scadente, da impedire il riciclo di buona parte dei rifiuti raccolti in modo differenziato (destinati, quindi, al termovalorizzatore o alle discariche).

Solo a quel punto si potrà pensare alla termovalorizzazione che, secondo la normativa comunitaria, non è la soluzione ma solo il male minore cui ricorrere come extrema ratio, per tutti i rifiuti di cui non si può impedire la nascita o che non possono essere riciclati.

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Freelance nel campo della comunicazione, dell’editoria e videomaker, si occupa di temi legati all’innovazione sostenibile, alla tutela ambientale e alla green economy. Ha collaborato e collabora, a vario titolo, con organizzazioni, emittenti televisive, web–magazine, case editrici e riviste. È autore di saggi e pubblicazioni.