Corrono tra i social immagini di mascherine e guanti abbandonati nei fiumi e per strada; il numero potrebbe aumentare. Proteggersi dal Covid-19 è la difesa più efficace in questo momento per evitare il virus, ma quanto costa all’ambiente il massiccio uso di mezzi di protezione? Si tratta di prodotti realizzati con materiale non riciclabile all’origine, in alcuni casi il massimo della riciclabilità è nella possibilità di lavare e riutilizzare un numero finito di volte il prodotto. Cosa cambierebbe se utilizzassimo prodotti di protezione in materiale riciclabile? Quanto impatta sull’ambiente e sui nostri rifiuti questo fenomeno? Alla produzione massima di materiali protettivi si somma anche la paura del riuso.

Diverse strutture che avevano intrapreso la via del plastic free prima del Covid-19, già alle prime avvisaglie della pandemia, hanno reintrodotto posate e bicchieri di plastica nelle mense e non è semplice immaginare cosa accadrà nella “Fase 3”. Quando saremo un po’ più liberi di muoverci e vorremo ad esempio ricaricare la nostra borraccia, sarà facile convincere un bar a farsi ricaricare un prodotto che ha toccato inequivocabilmente le nostre labbra? C’è il rischio di un pesante passo indietro nell’ambiente.

Mascherine, guanti abbandonati, il “peso” dei rifiuti

Si parla di circa un miliardo di guanti e mascherine da smaltire da qui a fine anno solo in Italia” spiega a Canale energia Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente. “Il cui recapito finale sarà l’inceneritore o la discarica. Sembrano cifre molto elevate, ma se guardiamo il peso e il volume in realtà non si tratta di un impatto così elevato rispetto la mole di rifiuti che produciamo ogni anno.

 

Di fatto si tratta di un aumento di pochi punti percentuale sulla mole di rifiuti generale

Mi spiego, se ipotizziamo che due guanti pesano 1gr, un miliardo vorrebbe dire 500mila kg nell’arco di un anno. Nello stesso periodo produciamo 30milioni di tonnellate di rifiuti urbani di cui mediamente 15milioni di tonnellate vanno in discarica o in incenerimento. In questo scenario 500mila kg rappresentano davvero molto poco. Di fatto si tratta di un aumento di pochi punti percentuale sulla mole di rifiuti generale. A preoccupare più che altro è il rilascio incontrollato nell’ambiente”.

Un rilascio che può portare a due diverse problematiche, come evidenzia Minutolo: “sia un problema sanitario, perché se infetti i guanti circolando possono essere un punto di trasmissione del Covid-19, sia un problema di dispersione di prodotti che, soprattutto nel caso dei quanti, si frantumano rilasciando microplastiche”. Queste diventano un potenziale pericolo per animali di terra e di mare, in quanto scambiate per cibo e ingeriti con i danni che ne conseguono per tutto l’ecosistema.

Il problema più che delle plastiche e dei prodotti biocompostabili è l’incuria dell’essere umano. Per questo i prodotti biodegradabili possono rappresentare una soluzione? “Considerando che i rifiuti sanitari seguono comunque la prassi dell’indifferenziato, in quanto pericoloso da reimmettere nel ciclo ambientale, non c’è una sostanziale differenza nel produrlo biocompostabile o meno, perché non andrebbe nel compost” spiega il responsabile del coordinamento scientifico di Legambiente.

Monouso, quando il biodegradabile svolge un ruolo centrale

“Altro discorso se pensiamo al cambio culturale che stiamo rischiando verso i prodotti monouso. Nella ‘Fase 3’ quella della convivenza con il virus, che potrebbe durare anni a quanto ne sappiamo oggi dato che il virus potrebbe mutarsi di anno in anno, il monouso o i preconfezionati potrebbero diventare un’esigenza pratica. In questo caso avere una maggiore attenzione a integrare prodotti alternativi alla plastica, penso ad esempio al biocompostabile, al legno, ai cartoni, può avere un senso di filiera complessiva e un impatto positivo per la sostenibilità ambientale. Non dobbiamo cadere nel tranello della paura e mantenere alta l’attenzione all’ambiente. Nel complesso effettuare delle stime su tutti i materiali che andranno usati al momento è complicato, penso anche all’uso del plexigas per le barriere sui banconi delle farmacie. Per ora il distanziamento è quanto di più efficace abbiamo. Non perdiamo questa opportunità per migliorare le cose che non andavano prima, ma usiamolo per pensare ad applicare un sistema di vita che sia sostenibile a 360°”.

Non solo Covid-19, anche l’inquinamento uccide

Un tema che traslato riguarderà molte nostre abitudini. “Penso alla mobilità, al timore che sta crescendo di usare i mezzi pubblici. Dobbiamo ricordare che ci sono anche monopattini o biciclette per effettuare i nostri spostamenti, non possiamo tornare tutti a muoverci solo con mezzi privati, altrimenti non ci muoveremo più e soprattutto, rischiamo di più del Covid-19. Ricordiamoci che il virus ha ucciso fin’ora 25mila persone. L’inquinamento ogni anno ne uccide 60mila…”

Lei tornerà a prendere il treno per i suoi spostamenti?
“Sì, certamente. Ma valuterò l’esigenza per cui lo prenderò in modo diverso. Mi chiederò se la presenzialità sarà centrale e sarà sostanziale fare questo spostamento oppure se posso partecipare in un altro modo”.

Leggi anche: “Ripensare la mobilità e il trasporto pubblico dopo il Covid-19″

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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.