A che punto è la moda sostenibile in Italia

Ecco i dati del Report Moda e Sostenibilità 2023 di Cikis.

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Foto di Alyssa Strohmann su Unsplash

Il capoluogo lombardo si sta preparando alla sua Settimana della Moda, l’attesissima Milano Fashion Week, in programma dal 19 al 25 settembre. Negli anni, l’evento ha dato sempre più spazio ai marchi attenti alla sostenibilità. Un concetto su cui le realtà italiane hanno ancora molto da imparare, stando al Report Moda e Sostenibilità 2023 della società di consulenza Cikis, che ha preso in esame un campione di 36 brand e 44 aziende con fatturato superiore a un milione.

Il rischio greenwashing

È positivo il fatto che l’intero campione analizzato stia investendo in iniziative volte a ridurre il proprio impatto ambientale. Tuttavia, in base al rapporto pubblicato questo mese, il 45 per cento delle aziende si ferma a un livello base: di queste, il 72,2 per cento comunica ugualmente il suo lato “sostenibile”, alimentando il rischio di greenwashing.

Lo scarso impiego dei materiali preferred

Inoltre, nonostante l’81,2 per cento del campione dichiari di utilizzare materiali a basso impatto ambientale, solo il 61,5 per cento ha davvero incluso tessuti preferred, ovvero fibre che offrono benefici per il clima, la natura e le persone rispetto ai loro equivalenti convenzionali, nelle collezioni 2022. Eppure, l’utilizzo di questi tessuti da parte dei brand internazionali è in continua crescita, secondo il Material Change Insights 2022 di Textile Exchange; specialmente in Europa.

moda sostenibile Cikis

“In Italia c’è scarsa consapevolezza del fatto che i materiali naturali non siano necessariamente una scelta sostenibile. A volte, per produrli, sono richiesti un eccessivo sfruttamento agricolo e un’elevata quantità di acqua, condizioni che non rispettano la definizione di materiale preferred”, spiega Serena Moro, founder di Cikis.

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“Ecco perché il cotone riciclato, proveniente da agricoltura rigenerativa, è da preferire al cotone convenzionale. Nel panorama delle fibre sintetiche, invece, le scelte da preferire sono il nylon e il poliestere riciclati e le alternative bio-based”, prosegue Moro. E comunque le aziende, conclude l’AD, sono chiamate a investire anche in efficienza energetica e pratiche di riciclo.

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Gli investimenti nell’economia circolare

La metà dei marchi ha investito in impianti di energia rinnovabile nell’ultimo anno, con un incremento del 31,6 per cento rispetto al 2022; un altro 23,7 per cento la considera una priorità futura. È indubbio che qualcosa si stia muovendo, ma ancora troppo lentamente. Anche nell’ambito dell’economia circolare, la percentuale di brand italiani che stanno adottando misure concrete si attesta al 13,8 per cento, contro il 73 per cento a livello internazionale.

Il calcolo dell’impronta di carbonio

Infine, solo il 24,7 per cento delle aziende di moda intervistate calcola la Carbon Footprint, un dato negativo in confronto al 77 per cento delle aziende firmatarie della UN Fashion Industry Charter for Climate Action. Un simile calcolo, però, potrebbe rappresentare il primo passo per arrivare a “mettere in pratica azioni concrete e misurabili per ridurre il proprio impatto ambientale e per poterlo comunicare in modo corretto, anche per limitare il fenomeno del greenwashing”, conclude Serena Moro.

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“Dal nostro studio emerge che più del 36 per cento delle imprese trova complesso implementare strategie di sostenibilità, ma allo stesso tempo risulta che le realtà che si affidano a consulenti sono state in grado di raggiungere un livello di sostenibilità avanzato facendosi accompagnare in progetti complessi”.

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