Sono arrivato!

La smart experience vista dal contatore con i limiti della rete e delle persone. La rubrica "Storia di un contatore poco intelligente"

La scatola di cartone si apre veloce e il bagliore di una vecchia lampadina a incandescenza mi acceca, intanto che mi estraggono dal mio imballaggio soffice e caldo. Sono in una specie di sgabuzzino sottoterra, lo intuisco dall’aria umida e dall’odore di muffa che mi avvolge, insieme a un uomo con le mani grosse e ruvide che mi sta fissando al muro con quattro viti e un trapano.

Il suono ossessivo di quell’arnese infernale riempie l’aria mentre il sudore gli scorre lungo il viso. Le sue mani, esperte e sicure, mi trattano con delicatezza, nonostante la ruvidezza delle sue dita. Ora sono saldamente ancorato alla parete, quasi fossi l’unico elemento decorativo di questo ambiente freddo e senza luce che trasuda solo squallore.

Mentre lui lavora, i miei sensi si risvegliano lentamente. Sento il fruscio costante della lampadina, il freddo dell’intonaco contro il mio corpo di plastica, il respiro affannoso dell’uomo che si china su di me. Mi domando quale sarà il mio destino, quale compito mi attende in questo luogo desolato.

Dopo un’eternità di viti e trapano, si rialza e mi osserva con un’espressione di soddisfazione. Mi rivolge un’ultima occhiata veloce, ripone gli attrezzi nella sua borsa di cuoio e si allontana, lasciandomi solo con i miei pensieri e con gli altri trenta compagni che condividono la mia stessa sorte confinati qui come me, immobili e impotenti di fronte al destino che ci è stato imposto.

Siamo arrivati tutti insieme da lontano, molto lontano. L’ho capito dal tempo che ci abbiamo impiegato e dalle lingue diverse che risuonavano ogni volta che qualcuno ci sollevava nei nostri scatoloni per cambiarci di posto. Abbiamo sentito il dondolio delle onde e l’odore del mare che si insinuava tra le fessure degli imballaggi. Siamo rimasti svegli per gli scossoni provocati dalle buche su cui inciampavano le ruote del camion su cui viaggiavamo. Dopo tanto ci siamo fermati, forse in un grande deposito dove siamo rimasti per un po’ prima di fermarci qui, in questo buio sotterraneo.

E adesso siamo soli e confusi, ma anche pieni di curiosità e aspettative per ciò che verrà. Mi chiedo: se il nostro compito è quello di misurare l’energia nelle case della gente, perché ci hanno chiusi qui dentro? Chi userà questa stanza? Quali storie avrà da raccontare?

La prima smart experience

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Immerso nei miei pensieri, posso sentire un suono di passi che si avvicinano allo sgabuzzino. La porta si apre e entrano delle persone, forse curiose di incontrare i nuovi arrivati. Ci sono donne giovani, lo intuisco dalle voci squillanti, e poi un anziano e austero signore che tutti chiamano Colonnello.

All’improvviso, uno di loro si stacca dal gruppo e viene verso di me. È un uomo di circa cinquant’anni, con occhiali e capelli arruffati, il volto contratto in un’espressione di interesse. Mi scrive qualcosa addosso con una matita, forse il suo nome. Poi, inizia ad ispezionarmi, a cercare di capire come funziono. I suoi movimenti sono goffi e incerti. Preme i tasti con incertezza e osserva attentamente le reazioni che provoca. Posso percepire la sua frustrazione nel tentativo di decifrare il mio mistero, con le sopracciglia aggrottate e la bocca stretta in una smorfia di concentrazione.

Tuttavia, nonostante si sforzi, sembrerebbe incapace di cogliere appieno la mia complessità. Le sue mani si muovono con impazienza, mentre il suo sguardo continua a scrutarmi con insistenza. Eppure, nonostante i suoi tentativi impacciati, c’è una scintilla di curiosità nei suoi occhi, una voglia di comprendere il segreto che mi avvolge.

Ma prima che possa esplorarmi completamente, l’uomo si allontana, chiude la porta alle sue spalle e mi lascia di nuovo nell’oscurità. Rimango lì, immobile nel buio che mi avvolge, mentre i miei sensori pulsano insieme a quelli degli altri come strumenti di un’orchestra che suona una sinfonia di dati per la centrale operativa.

E mentre resto sospeso nell’attesa, la curiosità continua a bruciare dentro di me, consapevole che restano da scoprire ancora molte cose.

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