Questa volta il maggior coordinamento tra le città non è invocato, ma ha un nome: “Patto per un programma regionale di strategie e politiche di Rigenerazione urbana e sostenibile”. Il tavolo di lavoro costituito da 18 soggetti istituzionali (tra gli altri categorie economiche, costruttori e psicologi) vuole diventare la “smart grid” della comunicazione tra Regione Veneto e Comuni. Con il direttore Ance Veneto, Enrico Ramazzina, scopriamo le potenzialità del progetto presentato oggi all’Università di Padova.
Finalmente possiamo parlare di allineamento e organizzazione: come nasce questo coordinamento?
Il movimento nasce dalle singole considerazioni fatte sul disegno di legge Lupi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione del suolo, legge nazionale che si scontra con la declinazione locale delle politiche urbane. Chi ha deciso di aderire al patto l’ha fatto in maniera spontanea portando con sé le proprie osservazioni: l’incipit è arrivato dagli architetti padovani, coordinati da Giuseppe Cappochin, che hanno voluto coinvolgere 18 organizzazioni professionali e di categoria, ambientalisti, sindacati e psicologi per pianificare le future strategie. Da settembre ci siamo riuniti sei volte e abbiamo prodotto un documento che testimonia la volontà di dare un contributo unanime allo sviluppo sociale ed economico del Veneto. Le linee guida prodotte rappresenteranno le richieste da presentare alla Regione, con un focus sul consumo di suolo, l’aumento dell’inclusione sociale e della sostenibilità e la promozione di processi economici virtuosi.
Nello specifico, quali sono le azioni proposte?
Innanzitutto puntiamo a mettere in sicurezza il territorio efficientando gli edifici e mettere a norma quelli pubblici adoperati, per esempio, per l’istruzione. Non possiamo dimenticare la centralità degli spazi pubblici e dei servizi favorendo il miglioramento qualitativo delle residenze degradate: l’obiettivo è preservare i luoghi di riconoscimento cittadini. Questo potrà favorire il superamento delle disuguaglianze sociali e migliorare l’accoglienza delle città. E, con un’attenta analisi, riusciremo ad arrivare al cittadino, a dialogare con lui senza l’intermediazione di gruppi di confronto, per produrre una strategia.
Mentre il mercato delle compravendite è in calo, quello della riqualificazione fornisce terreno fertile per il comparto dell’edilizia. Forse perché risente (anche) di fattori demografici?
Gli ultimi dati Istat hanno mostrato una leggera inversione di rotta: i cittadini guardano all’immobile come investimento, soprattutto se inteso come locazione e in ottica di riqualificazione. In termini fiscali, inoltre, c’è un peso esagerato che grava sull’abitazione e ciò deve essere rivisto.
A quali risorse vi rifarete per la messa in campo di queste iniziative?
Sicuramente ci rifaremo ai fondi strutturali europei che, per il periodo 2014-2020, rappresentano un’occasione per il rilancio del territorio. L’importante sarà definire anche nuovi strumenti finanziari per attirare gli investimenti privati (fondo di rotazione, raccolte obbligazionarie di scopo, fondo di solidarietà per la realizzazione di alloggi sociali, forme di micro-credito).
Il Patto di Stabilità sarà un ostacolo per la riuscita del coordinamento?
Il patto ostacola e rallenta gli investimenti pubblici, un rallentamento che ha determinato il fallimento delle opere messe in campo dal 36% delle imprese italiane e che ha impedito la fluidità del circuito fiscale. D’altro canto, trattando soprattutto i temi della sicurezza idraulica e del dissesto idrogeologico dei comuni, non siamo più disposti ai tragici epiloghi che seguono gli appesantimenti burocratici e il rallentamento delle opere.
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