Più collaborazione tra pubblico e privato per città smart

Smart CityAtteso per il mese di novembre, il piano nazionale sulle smart city, frutto del lavoro del MiSE con il contributo della task force sulle città intelligenti presieduta dal Sottosegretario Simona Vicari, porterà con sé alcuni bandi dedicati da parte del Ministero. Ad Antonella Galdi, Responsabile Innovazione ANCI, chiediamo se questa manovra renderà centrale per l’azione delle istituzioni lo sviluppo innovativo delle città.

Quali sono le attività di Anci nell’abito delle smart city?
L’ANCI ha individuato il tema smart city come una delle priorità della propria azione a partire dall’inizio del 2012. Sulla base di un forte commitment politico, la struttura ha messo in campo diverse azioni sia di tipo istituzionale – con la partecipazione ai principali tavoli di confronto attivati in questi anni dal Governo e dai soggetti economici – sia di accompagnamento e supporto diretto ai Comuni. Su questo aspetto lo strumento più importante è rappresentato dall’Osservatorio Nazionale Smart City, una rete di oltre 120 Comuni che, grazie al nostro coordinamento, si scambiano pratiche, conoscenze e partecipano a momenti di formazione e aggiornamento specialistico. Il lavoro di analisi e ricerca dell’Osservatorio ha prodotto la piattaforma Italian Smart Cities (www.italiansmartcities.it) dove sono raccolte informazioni di dettaglio su oltre 1.200 progetti di innovazione urbana realizzati dalle città italiane.

Si può dire che l’Italia sia un paese “smart city friendly”?
Dal nostro punto di osservazione possiamo dire che la situazione è molto diversificata in base ai territori. Per semplificare al massimo, possiamo individuare tre categorie di Comuni: un nucleo di grandi città (fra cui Genova, Torino, Bari, Milano, Firenze) le quali, in particolare grazie alla spinta dei bandi europei, hanno avviato percorsi strutturati verso la Smart City attraverso un approccio “olistico” di messa a sistema di progetti e interventi in ottica unitaria, nonché di primi tentativi di governance multilivello fra attori pubblici, del mondo produttivo, del mondo bancario, della ricerca e della cultura; un numero significativo di Comuni, soprattutto medi, che negli anni hanno sperimentato e messo a regime interventi di grande qualità su settori specifici (mobilità sostenibile, e-government, efficientamento energetico, valorizzazione del patrimonio culturale, gestione integrata dei dati) e che ora iniziano a operare in direzione dell’integrazione con gli altri ambiti di intervento cittadino; contesti urbani e di area vasta che, soprattutto a causa di un divide territoriale, dimensionale e infrastrutturale, appaiono ancora in ritardo rispetto all’adozione di modelli di pianificazione e interventi basati sull’integrazione delle reti, dei servizi e degli attori territoriali. In generale, va registrato un atteggiamento altalenante da parte delle istituzioni centrali, che ancora non sembrano mettere chiaramente al centro della propria azione lo sviluppo innovativo delle città.

Il sistema dei finanziamenti attualmente disponibile per tutte le filiere delle città intelligenti può dirsi adeguato?
Il sistema dei finanziamenti è molto frastagliato. In un periodo nel quale le risorse nazionali scarseggiano in tutti i settori, il maggiore bacino potenziale al quale attingere è quello dei fondi europei, sia strutturali che diretti. Sui fondi strutturali, i riferimenti di interesse sono il PON Metro per le città metropolitane, che ha fra i suoi assi di intervento proprio le soluzioni tecnologiche per la smart city, e gli assi urbani all’interno dei PO regionali. Sui fondi diretti il programma di riferimento è senz’altro Horizon 2020, all’interno del quale vengono pubblicate call che riguardano diversi ambiti della smartness, dai processi di pianificazione ai settori specifici di intervento. E’ chiaro però che, per accedere a questi fondi, in particolare quelli diretti, è necessario che le città italiane puntino con decisione ad innalzare la qualità della progettazione che riescono mettere in campo, perché la concorrenza a livello europeo è davvero alta.

Quanto pesa il problema del Patto di stabilità?
Molto. Le soluzioni tecnologiche finalizzate a rendere una città smart hanno, per definizione, una forte componente di innovatività che presuppone, soprattutto nella fase di start up, forti investimenti. Se i Comuni non possono utilizzare risorse che, in molti casi, hanno in cassa ma rimangono “congelate” per i vincoli del patto, è chiaro che la capacità di intervento si riduce significativamente.

In questo senso, il settore pubblico può fare a meno dell’aiuto dei privati?
No, ma a mio parere non solo per una ragione legata alla scarsezza di risorse. Se puntare ad essere una città smart significa innovare i propri servizi, i propri processi di lavoro, il proprio modo di rapportarsi con la cittadinanza, ebbene non si può pensare che questo cambiamento possa nascere solo all’interno delle amministrazioni. Sono le imprese, ma anche la cittadinanza attiva organizzata, che hanno la capacità di innovare. Bisogna allora lavorare a nuove forme di collaborazione fra pubblico e privato, partendo dal tema del procurement, nell’ambito del quale c’è necessità di usare in maniera più convinta alcuni strumenti già oggi disponibili – penso all’appalto innovativo o al procurement pre-commerciale – e di ragionare per capire quali possono essere eventuali interventi normativi che facilitino questa relazione rendendola veramente virtuosa.  

Quali sono i processi virtuosi in cui si può sviluppare una collaborazione pubblico-privato, sia in termini di compartecipazione agli investimenti, sia in termini di realizzazione dei progetti?

Come detto, bisogna intanto iniziare a usare gli strumenti già oggi consentiti dal codice degli appalti. Inoltre, il settore pubblico e quello privato devono collaborare a trovare modelli di sostenibilità economica condivisi sulle diverse tipologie di intervento innovativo, sia per presentarsi in maniera più strutturata di fronte ai soggetti bancari, sia per utilizzare modalità, penso in primis alla concessione di servizi, che si basino sul saving di costi generato dall’utilizzo di una nuova applicazione, che possa quindi da un lato portare un beneficio al bilancio comunale e dall’altro ripagare l’investimento del privato. Si tratta, in pratica, di ampliare un modello di intervento già consolidato nell’ambito dell’efficientamento energetico.

Leggi anche e7 del 7 ottobre Le città italiane riscoprono il modello “smart”

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Nato ad Avellino, giornalista professionista, laurea in comunicazione di massa e master in giornalismo conseguito all’Università di Torino. È direttore della rivista CH4 edita da Gruppo Italia Energia. In precedenza ha lavorato nel settore delle relazioni istituzionali e ufficio stampa, oltre ad aver collaborato con diversi media nazionali e locali sia nel campo dell’energia sia della politica. È vincitore di numerosi premi giornalistici nazionali e internazionali.