Ilnucleare ha davvero un ruolo da svolgere nella transizione energetica verso il net zero? Il focus sulle nuove tecnologie nucleari per la competitività industriale, la loro percezione e accettazione pubblica è stato affrontato alla conferenza stampa di presentazione della ricerca Il nuovo nucleare in Italia per i cittadini e le imprese. Il ruolo per la decarbonizzazione, la sicurezza energetica e la competitività, realizzata da Teha Group in collaborazione con Edison e Ansaldo Nucleare, che si è svolta il 7 settembre nell’ambito del 50° forum di Cernobbio.
I dati della survey sono stati illustrati da: Lorenzo Tavazzi, senior partner e responsabile scenari & intelligence di Teha Group; Ferruccio Resta, presidente della fondazione politecnico di Milano; Nicola Monti, amministratore delegato di Edison; Daniela Gentile, amministratrice delegata di Ansaldo Nucleare.
La proposta per il nuovo nucleare in Italia: small modular reactors
L’elemento centrale della proposta per lo sviluppo della prossima energia nucleare, con orizzonte al 2030, è rappresentato dagli small modular reactors (Smr) di terza generazione, dal design modulare semplificato (100-450 MW) e di taglia ridotta rispetto alle grandi centrali: caratteristiche che assicurerebbero, secondo quanto esposto, un miglioramento della sicurezza.
La ricerca evidenzia i benefici che il nucleare garantirebbe al Paese: in primo luogo, una fornitura stabile, programmabile e con le più basse emissioni di CO2, “divenendo equivalente ad una rinnovabile accoppiata ad un sistema di accumulo” si legge nello studio. In complementarietà con lo sviluppo delle rinnovabili, agirebbe inoltre da stabilizzatore sistemico qualificando una produzione elettrica integrata e decarbonizzata.
Se in Italia si installassero fino a 20 impianti Smr dal 2035 al 2050, il documento prevede una capacità di 6,8 GW di nuovo nucleare installata al 2050 pari al 10% di copertura della domanda elettrica. In questo scenario, le nuove tecnologie nucleari concorrerebbero alla riduzione dei costi di sistema (minori investimenti in accumuli, reti di trasmissione e impianti), abilitando il pieno potenziale delle rinnovabili, e alla stabilizzazione dei prezzi “per la maggiore stabilità geopolitica dei Paesi produttori e alla bassa incidenza dell’uranio sul prezzo finale”.
Favorirebbe, inoltre, la produzione di termico e idrogeno per l’industria:
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6,5 miliardi di euro: costo per GW installato
Secondo i dati, l’Italia importa circa 20TWh di elettricità da fonte nucleare ogni anno, pari al 6% dei consumi elettrici totali. Guardando alle importazioni, tra i Paesi senza centrali nucleari, il nostro ha un indice di dipendenza elettrica del 16%. Con riferimento all’approvvigionamento di materie critiche viene indicata una supply risk molto bassa (9,3) rispetto ad altre tecnologie: solare (207,8), eolico (162,9), carbone (14,1).
L’analisi quantifica i costi associati allo sviluppo del nuovo nucleare. Se entro il 2050 si realizzassero fino a 20 impianti small modular reactors (con capacità totale di 6,8 GW), il costo complessivo per GW installato sarebbe pari a 6,5 miliardi di euro/GW, laddove per un Smr da 340 MW il costo sarebbe pari a 2,2 miliardi di euro.
Un potenziale da 50 miliardi di euro di valore aggiunto:
Il modello indica, infine, i traguardi intermedi per raggiungere i target dell’auspicata politica industriale sulle nuove tecnologie nucleari, tra cui:
- elaborare un piano industriale e favorire la partecipazione a programmi internazionali;
- promuovere l’utilizzo di fondi comunitari e ridurre la volatilità del prezzo dell’energia;
- favorire percorsi di pre-licensing europei e inserire i progetti del nuovo nucleare tra le opere strategiche;
- realizzare il deposito unico nazionale per lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.
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