“Sono diminuite del 69% le popolazioni di vertebrati presenti sul Pianeta rispetto agli anni ’70, a causa dell’inquinamento, ma non solo, e tra le specie a rischio c’è anche la nostra. La biodiversità globale è in uno stato preoccupante, per invertire la rotta dobbiamo cambiare il nostro modo di agire e ridurre subito la nostra impronta sul Pianeta. Ma questo non può durare una legislatura, deve essere un percorso a lungo termine”. 

Con queste parole, Luciano Di Tizio, presidente del Wwf Italia ha aperto la mattinata di oggi 13 ottobre, durante la quale è stato presentato il Living Planet report del Wwf, rapporto redatto ogni due anni a partire dal 1998, che individua due macro problemi: la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici. Il rapporto è frutto del lavoro di 85 esperti nel mondo e comprende quasi 32mila popolazioni di 5.230 specie di vertebrati.

Il Living Planet Report 2022

Valentina Marconi –  Zoological Society of London e coautrice del rapporto, ha illustrato come le popolazioni di fauna selvatica: mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci dal 1970, in tutto il mondo, sono calate in media del 69%.

Se poi si fa riferimento a quelle monitorate tra il 1970 e il 2018 in America Latina e nella regione dei Caraibi sono diminuite addirittura del 94%. Le popolazioni d’acqua dolce monitorate sono diminuite in media dell’83%. Prospettive dunque affatto rosee sullo stato di salute della natura che ci circonda.

Fra le popolazioni di specie monitorate nell’LPI ci sono i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia, le cui popolazioni sono crollate del 65% tra il 1994 e il 2016 nella Riserva di sviluppo sostenibile di Mamirauá, nello stato brasiliano di Amazonas; i gorilla di pianura orientale, il cui numero ha subito un declino dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega della Repubblica Democratica del Congo tra il 1994 e il 2019 e i cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, il cui numero è calato di due terzi tra il 1977 e il 2019.

“Noi all’interno del database, afferma Marconi, possiamo raccogliere i dati quando sono disponibili, l’Index è utile perché è uno strumento di comunicazione importantissimo e il tema della perdita di biodiversità è tornata in auge. Grazie a questi dati, possiamo affrontare il problema in modo complesso e organico.

L’Index, utilizzato come indicatore, ci fa comprendere se abbiamo raggiunto o meno gli obiettivi che avevamo fissato nel 2010, che purtroppo non sono stati raggiunti e, a livello globale misura solo uno degli aspetti della biodiversità, ovvero l’abbondanza. Quest’anno abbiamo un’opportunità unica: saranno decisi gli obiettivi che gli Stati vorranno imporsi per invertire la tendenza al 2030 e al 2050 alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica (COP15) che si terrà a Montreal, in Canada, dal 7 al 19 dicembre, sotto la presidenza della Cina”. 

Le sfide che ci attendono sulla biodiversità

Carlo Rondinini, professore di Zoologia e Biologia della Conservazione della Università La Sapienza di Roma, ha dichiarato: “Questo è un anno fondamentale perché definiremo gli obiettivi per la Conservazione della biodiversità per la prossima decade. La biodiversità non può essere tutelata senza intervenire sui cambiamenti climatici, l’attività antropocentrica e l’incremento della popolazione di più di 5 milioni all’anno, ha devastato il Pianeta con impatti che derivano tutti quanti dall’attività umana, il nostro impatto è quintuplicato sul Pianeta. I conflitti impattano negativamente e così le attività agricole che devono sostenere una popolazione cresciuta nel tempo a dismisura”. 

Il prof. Rondinini ha ricordato come il 25% delle specie siano a rischio estinzione: “Il Red List Index ci dice quanto le specie siano vicine all’estinzione, ma noi possiamo fare qualcosa per ridurre questo tasso? Finora abbiamo fatto poco, gli obiettivi posti dalla Convenzione sulla biodiversità per il 2020 non sono stati raggiunti e lo stesso possiamo dire per gli Esg. Ci stiamo allontanando dagli obiettivi, ma entro il 2050, la Convenzione sulla biodiversità ha stabilito di conservare e ristorare la biodiversità, ma come? Piegando la sua traiettoria negativa, modificando i driver indiretti e i nostri sistemi di produzione e consumo. 

Ad esempio, se la pianificazione in agricoltura sarà migliore, riducendo la produzione di carne e spingendo verso una dieta più bilanciata, si potrebbe azzerare la perdita di habitat per queste specie. “Per raggiungere questa condizione però bisogna lavorare tantissimo e costruire dei percorsi definiti, la strada è stretta ma è l’unico modo possibile per raggiungere l’obiettivo”, conclude. 

Alla ricerca di un nuovo equilibrio

Alessandra Prampolini, direttore generale Wwf Italia, ha sottolineato l’urgenza del porre rimedio alla situazione: “É un percorso frutto di uno squilibrio che ci è sfuggito di mano. Come Wwf sottolineo che il dibattito sta raggiungendo una platea sempre più ampia, abbiamo iniziato a lavorarci nel 2018, perché il 2020 sarebbe dovuto essere l’anno della svolta, ma poi la pandemia ci ha ricordato che abbiamo un problema di rapporto con il Pianeta. Come possiamo avere un impatto così negativo e invece, non così positivo? Semplicemente, c’è una mancanza di volontà, ecco che quindi dobbiamo fare delle scelte quotidiane per cambiare il nostro stile di vita”. 

Affrontare le sfide ambientali in una logica sistemica

“Bisogna affrontare le sfide ambientali in una logica sistemica e non per compartimenti stagni”, ha sostenuto Stefano la Porta, presidente Ispra, altrimenti non riusciremo a tutelare il Pianeta né a vivere in maniera adeguata nel nostro habitat. Pensiamo ai nostri mari, alla risorsa idrica, al consumo di suolo che in Italia è di 2mq al secondo, tanto resta da fare, ma l’Italia ha visto crescere del 20% la protezione di terra e mare, nonostante l’obiettivo europeo sia del 30%, passi avanti sono stati fatti. Spesso le esigenze di tutela ambientale sembrano in contraddizione tra loro, invece vanno conciliate e questo può rendere il nostro Paese molto interessante per essere reso un laboratorio; ad esempio, le aree protette possono e devono diventare dei centri di sperimentazione a cielo aperto”.

Cambiare paradigma culturale

L’Agenda 2030 pone la prospettiva su diversi livelli, sulla base di un ordine logico da cui partire, senza la quale gli obiettivi saranno difficilmente raggiungibili. Il problema è il salto di paradigma culturale che va fatto e che va affrontato su diversi fronti, quale ad esempio quello del cibo, come ha raccontato la cuoca, come ama definirsi, seppur stellata, Antonia Klugmann.

Come si può conciliare sostenibilità e piacere del cibo? “Ci sono delle scelte che si fanno all’interno di una realtà economica, si tratta di un percorso di apprendimento e consapevolezza. Ho suddiviso ciò che posso fare in pratica quotidianamente, partendo dall’efficienza energetica e dal risparmio idrico. I miei cuochi hanno dai 20 ai 30 anni, ancora non sono consapevoli di come un cuoco possa fare la differenza, perciò è obbligatorio per me, come cuoca creativa, cercare delle soluzioni il più possibile personali, rispettando la natura e il selvatico”. 

“L’agricoltura deve essere di prospettiva e io ho la possibilità di interagire con la comunità per la campagna “Food for Future”, attraverso cui metto in campo la comunicazione non solo in termini di marketing, ma di condivisione delle informazioni, penso ad esempio ai miei fornitori di formaggio che recuperano delle zone completamente lasciate all’incuria. Altro elemento, noi cuochi possiamo influenzare le persone e far scoprire loro quanto bello sia non pagare tanto un prodotto per lusso, ma per il valore della materia prima”. 

Coerenza e realismo come fattori imprescindibili

Francesco Petrelli, relazioni istituzionali Oxfam Italia, ha messo in rilievo come il fattore tempo sia importante per rendere gli obiettivi realisti.

“Il tema della giustizia ambientale ed economica deve far parte della riscrittura della narrazione, dobbiamo cambiare culturalmente, mutare visione, questo ci deriva dalle persone vittime di “ecocidio”. Indispensabile è lavorare con un approccio intersezionale, perché il tema è difficile e nell’economia dobbiamo incorporare la domanda di quale valore vogliamo dare alla natura”. 

“Vorrei dare voce al tema del “Tribunale dei diritti dei posteri” e al tema del cibo che è emblematico. Noi produciamo cibo per 10 miliardi di persone, ma il problema è la distribuzione, dobbiamo quindi cambiare questo modello. La risposta è che il libero scambismo da solo non basta, ma è necessario intervenire su questi fattori altrimenti non ne usciamo. L’agro-ecologia non è un’opzione qualitativa, ma significa migliorare la distribuzione del cibo a livello mondiale. 

“Pertanto bisogna lavorare con la politica sulle coerenze, la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile è importante e non bisogna posporre per poi dimenticarsene del Green Deal e della sua componente agricola”.

Martina Comparelli, rappresentante di Fridays For Future, ha fatto notare come è molto importante che ci siano indicatori come quelli del Living Planet Report: “Noi dobbiamo ripensare gli indicatori e il modo in cui misuriamo il nostro benessere. Nel momento in cui si parla di responsabilità umana dobbiamo pensare che le cose devono cambiare, la questione biodiversità non è differente e disgiunta da quella del cambiamento climatico, pertanto ringrazio il Wwf  per il suo report che useremo nelle nostre comunicazioni”. 

Fondamentale il ruolo del mondo cattolico nella lotta ai cambiamenti climatici, consapevoli delle conseguenze che possono avere, insieme alle guerre e alle carestie, sulle popolazioni più povere del globo. Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, ha dichiarato: “É il tempo di avere occhi diversi su quello che viviamo, già Papa Francesco con l’enciclica “Laudato Sii” ha rappresentato un dialogo potente con la contemporaneità con la sua frase “Nessuno si salva da solo”, come abbiamo scoperto con la pandemia. C’è certamente la questione degli stili di vita, ma coloro che hanno il potere di fare le leggi le devono rendere utilizzabili da parte delle persone, ogni giorno. La Terra non è nostra, ci è stata semplicemente affidata in custodia”. 

Trasformare la nostra cultura e la società

Concludendo, il presidente Wwf Italia, Luciano di Tizio, ha dichiarato: “Con il 25% delle specie a rischio estinzione, solo assumendo comportamenti coerenti e avendo una visione di lungo periodo potremo invertire la rotta della perdita di biodiversità. Inoltre, il Pil non misura il benessere, nemmeno di chi ha un portafoglio pieno. Deve esserci il diritto per tutti ad avere un ambiente sano e la realtà economica deve accorgersi di questo diritto. Come Wwf, chiediamo una legge sul clima per frenare il cambiamento climatico, un’altra sul consumo di suolo e un “Codice sulla Natura” per mettere insieme un corpo organico di norme per far sì che ci sia un riferimento certo e chiaro per chi si deve occupare di natura. Queste sono le cose che chiediamo al Governo”. 

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Professionista delle Relazioni Esterne, Comunicazione e Ufficio Stampa, si occupa di energia e sostenibilità con un occhio di riguardo alla moda sostenibile e ai progetti energetici di cooperazione allo sviluppo. Possiede una solida conoscenza del mondo consumerista a tutto tondo, del quale si è occupata negli ultimi anni.