Le foglie degli alberi hanno un ruolo importante nel ciclo dell’azoto

È la scoperta di un gruppo di ricercatori guidato da una professoressa dell’Università di Bologna, importante anche dal punto di vista dell’effetto serra.

Anche le chiome degli alberi hanno un ruolo attivo nel ciclo dell’azoto: sulle foglie sono infatti presenti dei microrganismi – che finora si pensava esistessero solo nel suolo – capaci di favorire il processo di nitrificazione, ovvero la trasformazione dei composti dell’azoto (ammonio e ammoniaca) in nitrati, indispensabili per lo sviluppo della pianta.

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Foglie di faggio. Foto di Julia Weihe su Unsplash

È la conclusione cui è giunto un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Rossella Guerrieri, professoressa associata al Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna. Il loro studio è stato pubblicato l’8 febbraio sulla rivista Nature Geoscience.

L’ipotesi della professoressa Guerrieri

“Ciò che arriva dall’atmosfera si deposita sulle foglie, ma in alcuni casi la quantità rilasciata sotto le chiome risulta minore di quella che arriva dall’atmosfera, in termini di composti dell’azoto. Diversamente, aumenta in caso di pioggia”, spiega la dottoressa Guerrieri.

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“Questo meccanismo è sempre stato spiegato col fatto che parte di questi composti sono in forma secca: si depositano, si accumulano e, quando piove, la chioma viene ‘lavata’. Invece, se le concentrazioni sono molto basse, parte dell’azoto viene assorbito dalle foglie e non scivola giù. Tuttavia, a me non convinceva che si trattasse di un semplice meccanismo passivo”.

L’impiego della Next Generation Sequence Analysis

Per verificare questa ipotesi, i ricercatori hanno selezionato una decina di foreste di faggio (latifoglia) e pino silvestre (conifera) rientranti nella rete di monitoraggio europea dell’ICP Forests e localizzate in zone poco inquinate (Paesi scandinavi), mediamente inquinate (Mediterraneo) e molto inquinate (Belgio, Svizzera e parte della Gran Bretagna).

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Aghi di pino. Foto di Oxana Lyashenko su Unsplash

Hanno quindi analizzato sia le acque di precipitazione, sia gli aghi e le foglie. Hanno applicato, per la prima volta nell’ambito dell’ecologia forestale, una tecnica fino a pochi anni fa impiegata solo in campo medico: la Next Generation Sequence Analysis (NGS), che consiste nel sequenziamento massivo del DNA dei microrganismi prelevati direttamente da campioni ambientali.

Un nuovo servizio ecosistemico

“Combinando analisi molecolari e analisi chimiche molto sofisticate, siamo riusciti a dimostrare la trasformazione biologica che avviene nelle chiome. Abbiamo rilevato inoltre che il processo di nitrificazione aumenta all’aumentare dell’azoto e, quindi, nei siti più inquinati”, prosegue Guerrieri.

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“Senza questa trasformazione biologica ad opera dei nitrificanti presenti sulle foglie, le chiome tratterrebbero, anziché rilasciare, i nitrati, con conseguente riduzione del loro input al suolo. Questo potrebbe avere implicazioni importanti, soprattutto in foreste dove c’è più azoto nel suolo di quello di cui le piante e i microrganismi necessitano, anche perché favorirebbe il ritorno dell’azoto in atmosfera sotto forma di gas serra”, conclude la ricercatrice. Insomma, gli alberi sono ancora più straordinari di quanto pensassimo, e sono davvero capaci di offrirci una quantità notevole di servizi ecosistemici.

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