Perché la sicurezza internazionale dipende anche dalla tutela dell’ambiente

In una tavola rotonda organizzata dall’ISPI l’11 ottobre, si è discusso dell’impatto ambientale della guerra in Ucraina.

  • Anche se non è ancora chiaro come sia successo, le perdite di metano dai gasdotti della società russa Gazprom hanno avuto pesanti ripercussioni sulla biodiversità del mar Baltico.
  • I danni ambientali sono riconosciuti come crimini di guerra dalla Corte penale internazionale, ma questo non basta per proteggere la popolazione.
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La fuga di gas nel mar Baltico vista dall’intercettore danese F-16 © Forsvaret

Il 26 settembre i gasdotti Nord Stream 1 e 2, di proprietà della società russa Gazprom, hanno cominciato a disperdere metano nel mar Baltico. Non si conoscono ancora le ragioni precise di quanto accaduto, ma la maggior parte dei rappresentanti della comunità internazionale ritiene che non si tratti di un incidente, bensì di un sabotaggio. L’Unione europea accusa la Russia di averli danneggiati deliberatamente per mettere ancora più in difficoltà i Paesi rimasti senza forniture. Vladimir Putin invece punta il dito contro gli Stati Uniti e la NATO che, secondo lui, avrebbero agito in tal senso per alimentare le tensioni legate alla guerra in Ucraina.

Una cosa, però, è certa: l’episodio ha avuto delle pesanti ripercussioni sull’ambiente circostante; uno dei mari più inquinati al mondo, già provato da precedenti conflitti, decenni di contaminazioni chimiche, pesca eccessiva e cambiamenti climatici. Alcune stime indicano che le perdite di gas naturale abbiano generato le stesse emissioni che normalmente vengono prodotte in un anno da cinque milioni di automobili o da uno Stato come la Danimarca. “L’impatto sulla biodiversità marina non è ancora chiaro, ma stiamo parlando di una catastrofe”, ha dichiarato Angelina Davydova, giornalista esperta di clima e ambiente, durante una tavola rotonda organizzata l’11 ottobre dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI).

Le conseguenze della guerra in Ucraina per le politiche legate al clima

Davydova ha poi ricordato che, guardando al conflitto nel suo complesso, ci sono anche le emissioni derivanti dalla distruzione delle infrastrutture urbane. E conseguenze indirette, come la riduzione dell’impegno climatico e degli investimenti nelle politiche di mitigazione da parte della comunità internazionale. Un argomento che sarà cruciale alla Cop 27, la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si terrà in Egitto nel mese di novembre.

Anche l’attivismo risente della crisi geopolitica. In Russia, Paese che vuole diventare carbon neutral entro il 2060, è diventato ancora più difficile portare avanti le battaglie ambientali. Molti attivisti e molti giornalisti sono fuggiti, altri stanno cercando di slegare i temi per cui si battono dalla politica. Gli standard ambientali si stanno allentando in questa situazione, ma organizzazioni come Greenpeace lottano per impedirlo.

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La paura di catastrofi che travalicano i confini

I danni all’ambiente sono riconosciuti come crimini di guerra dalla Corte penale dell’Aia. Il quadro giuridico esistente che regola i conflitti armati prevede alcune tutele in questo senso, ma non sono chiare né sufficienti. “È una questione complessa, perché le vittime dei crimini di guerra sono tenute a un risarcimento, ma nel caso dei danni ambientali non è sempre facile capire fino a che punto ci sia stata premeditazione”, ha spiegato Kateryna Pishchikova, ricercatrice dell’ISPI e professoressa di scienze politiche.

“Nel caso degli attacchi alle centrali nucleari ucraine, l’intenzione di provocare un danno ambientale c’era senz’altro. Abbiamo visto che determinati pericoli travalicano i confini. Viaggiano nell’atmosfera, nel mare. Le migrazioni sono dovute anche a queste minacce, non solo al conflitto in sé”. Ecco perché un ambiente sano è cruciale per la stabilità e la sicurezza internazionale.

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