In Italia la gestione dei rifiuti da imballaggio basata sulla centralità del sistema consortile e sull’accordo quadro ANCI-CONAI riesce a garantire la prestazione universale del servizio. A testimoniarlo i numeri finora registrati a livello nazionale, con qualche eccezione territoriale specialmente al Sud. Dimostrazione che il principio di concorrenza e di tutela ambientale si incontrano, si intrecciano ma, spesso, divergono.
Questi i nodi dello studio “La gestione dei rifiuti di imballaggio in Italia: profili e criticità concorrenziali” (Per scaricarlo clicca qui), realizzato dall’Università LUISS di Roma e presentato stamane a Roma, con cui il Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) ha cercato di fare luce sul tema della presunta limitazione della concorrenza nel settore.
Partendo dalle criticità individuate anche a livello normativo, lo studio evidenzia che gli operatori autonomi, dunque non consorziati, spesso non garantiscono un adeguato livello di raccolta e, quindi, di tutela ambientale. Questo a fronte di condizioni di mercato fluttuanti che, talvolta, li porterebbero a scegliere, per la gestione dei rifiuti, solo alcune aree geografiche in cui il servizio è meno costoso. Trascurando le zone ritenute meno remunerative.
Altro nodo emerso quello della responsabilità estesa del produttore (EPR) che prevede una responsabilità a monte a carico dei produttori, per l’appunto. Come sottolineato da Gustavo Olivieri, Professore ordinario di Diritto commerciale della LUISS e tra i redattori dello studio, l’EPR “non segue un modello unico a livello europeo” e “ogni legislatore nazionale ha deciso per il Paese di riferimento”. In Italia il panorama è variegato: nel caso degli imballaggi l’EPR è a carico dei produttori, per i PFU pagano i cittadini e per la carta grafica non esiste. “Deve esserci una chiara assunzione di responsabilità in qualsiasi condizione di mercato”, ammonisce il Presidente di CONAI Roberto De Santis. Che sottolinea, “non escludiamo una revisione della normativa perché ciò eviterebbe interventi casuali ed estemporanei relativi ai singoli interessi di categoria”.
Lo studio si è pronunciato anche in merito al pagamento del CAC, il Contributo ambientale CONAI con cui vengono ripartiti tra i produttori e gli utilizzatori d’imballaggio i costi della raccolta differenziata, del riciclo e del recupero dei rifiuti di imballaggi. “Nulla preclude l’azione degli operatori autonomi, che però devono rispettare l’obbligo di servizio universale – ha precisato Michele Grillo, Professore ordinario di Economia politica presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano – Dunque, devono pagare il CAC per garantire che gli imballaggi prodotti e utilizzati vengano recuperati anche in zone considerate non remunerative“. E per garantire la tutela dell’ambiente: diversificare il contributo ambientale stimolerebbe la produzione di imballaggi eco-compatibili che, una volta rifiuti, avrebbero costi di gestione inferiori e sarebbero più competitivi sul mercato.
Alla luce del rapporto presentato, quali possibilità si vanno delineando, anche in un’ottica di maggiore sinergia tra ricerca pubblica e imprese? La risposta nel videocommento di Gustavo Olivieri, Professore LUISS.
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