Groenlandia, la fusione della calotta glaciale rischia di raggiungere il punto di non ritorno

È l’allarme lanciato dai ricercatori dell’Istituto di Potsdam. Ne parliamo col professor Valter Maggi dell’Università di Milano-Bicocca.

  • Tra il 2003 e il 2016, la calotta groenlandese ha perso circa 255 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno.
  • Se non ridurremo le emissioni di CO2 in atmosfera, sarà impossibile arrestare il processo di fusione.
  • Commentiamo i dati con il professor Valter Maggi, presidente del Comitato Glaciologico Italiano, facendo un punto anche sui ghiacciai alpini.
Groenlandia
Foto di Visit Greenland/Unsplash

La fusione della calotta glaciale della Groenlandia si avvicina a un punto di non ritorno. È quanto emerge da uno studio guidato dall’Istituto di Potsdam, i cui risultati sono stati pubblicati a fine marzo sulla rivista Geophysical Research Letters. In base alle analisi effettuate dai ricercatori, che hanno utilizzato per la prima volta un modello complesso dell’intero sistema terrestre, basteranno mille gigatoni di carbonio a causare la fusione della porzione meridionale della calotta. E siamo più o meno a metà strada. 2.500 gigatoni porteranno invece alla scomparsa dell’intera massa di ghiaccio, che attualmente occupa una superficie di 1,7 milioni di chilometri quadrati, con un conseguente innalzamento di sette metri del livello del mare.

Cosa sono i “punti di non ritorno” in ambito scientifico

“Si parla di punti di non ritorno perché nel momento in cui si superano determinate soglie, come la concentrazione di CO2 in atmosfera, qualsiasi contromisura nel breve-medio termine non può portare a un’inversione di tendenza”, spiega Valter Maggi, professore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università di Milano-Bicocca, nonché presidente del Comitato Glaciologico Italiano. Ecco perché limitare l’aumento delle temperature medie globali a 1,5 gradi centigradi, come auspicato dall’Accordo di Parigi sul clima, è di vitale importanza. “Il riscaldamento globale non è altro che il modo in cui la Terra reagisce all’impatto delle attività umane. All’aumentare del calore, si espande l’energia nell’atmosfera, e le possibili conseguenze diventano sempre più pericolose”.

Il ghiaccio della Groenlandia racconta la storia del clima che cambia

Tra il 2003 e il 2016, la calotta groenlandese ha perso circa 255 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno. La temperatura dell’aria e dell’acqua, l’andamento delle precipitazioni e delle correnti, sono tutti fattori che contribuiscono alla velocità di fusione del ghiaccio. È difficile dire quanto tempo ci resta per salvare la situazione, ma di certo sappiamo che cosa si può fare. “Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni in atmosfera. È dalla metà dell’Ottocento che le concentrazioni continuano a crescere: bisogna invertire la tendenza”. Negli anni Novanta, il professor Maggi ha partecipato al GRIP (Greenland Icecore Project), progetto di perforazione della calotta glaciale groenlandese organizzato dall’European Science Foundation (ESF) e finanziato, per l’Italia, dal CNR. “È stato forse il primo grande progetto europeo di perforazione di una calotta polare. Lo scopo era quello di arrivare a capire il funzionamento del sistema climatico, utilizzando il ghiaccio come archivio di informazioni, capace di raccontare una storia lunga 100mila anni. Abbiamo scoperto l’esistenza di specifiche condizioni che portano il clima a superare determinate soglie, cosa che va a modificare il sistema climatico in maniera significativa”.

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Chi fosse interessato a documentarsi ulteriormente sullo stato di salute delle terre nordiche, può farlo attraverso il cortometraggio Missione Artico del WWF. Cinque episodi su YouTube che raccontano la spedizione esplorativa di una squadra di esperti lungo la costa orientale della Groenlandia. La voce narrante appartiene a Isabella Pratesi, direttrice del Programma di Conservazione del WWF Italia, che ha preso parte alla spedizione a bordo della Quicksilver.

Le condizioni dell’Antartide

Se l’Artide soffre, l’Antartide versa in condizioni ancora più drammatiche. Il Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus ha rivelato che il mese di marzo 2023 è stato il secondo più caldo a livello globale: mentre l’estensione del ghiaccio marino artico è stata del 4 per cento al di sotto della media, quella del ghiaccio marino antartico è stata la seconda più bassa mai registrata, superando il minimo storico di febbraio e arrivando ad essere il 28 per cento al di sotto della media. “In questi ultimi due anni la situazione è particolarmente peggiorata”, prosegue Maggi, che ha partecipato anche a diverse spedizioni in Antartide. “Sono però circostanze che stiamo osservando ormai da tempo. Non è una sorpresa”.

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Il grido d’aiuto dei ghiacciai alpini

E non sorprende neppure il fatto che a soffrire siano anche i ghiacciai alpini. “Sono i principali indicatori dei cambiamenti climatici”, conclude il presidente del Comitato Glaciologico Italiano. “La temperatura sulle Alpi è aumentata di oltre due gradi, il doppio rispetto al resto del Pianeta. E i ghiacciai si stanno ritirando a ritmi spaventosi. Il 2022 è stato un anno particolarmente critico, ma ripeto, è da anni ormai che conosciamo la situazione. Il Comitato è nato nel 1895 proprio perché i fondatori si erano già resi conto del problema”. Perché, allora, ci ostiniamo a perdere tempo prezioso? La natura ci ha lanciato un segnale, che i ricercatori hanno saputo interpretare. Le risposte da parte del mondo politico, però, non possono più tardare ad arrivare.

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Nata in provincia di Sondrio, ha studiato a Milano e Londra. Giornalista pubblicista, si occupa di questioni legate alla crisi climatica, all’economia circolare e alla tutela di biodiversità e diritti umani.