Anche i fiumi “respirano”: ecco che ruolo hanno nel ciclo globale del carbonio

Uno studio cui ha contribuito anche un ricercatore italiano fa luce sul legame fra il metabolismo degli ecosistemi fluviali e le emissioni di anidride carbonica.

  • Come gli oceani e le foreste, anche i fiumi sono coinvolti nella regolazione dei flussi globali di carbonio.
  • È quanto dimostra uno studio pubblicato il 18 gennaio sulla rivista Nature.
  • Ne parliamo con il professor Enrico Bertuzzo dell’Università Ca’ Foscari.
fiumi e carbonio
Anche i fiumi producono ossigeno e CO2 © Dave Hoefler/Unsplash

Il fiume Whanganui, che scorre in Nuova Zelanda ed è sacro per i Maori, è stato equiparato a un essere vivente da una sentenza che, nel 2017, gli ha conferito personalità giuridica. In fin dei conti, non è del tutto sbagliato affermare che i fiumi vivano. Addirittura, “respirano”. È la scoperta di un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Tom Battin, a capo del River Ecosystems Laboratory di Losanna. Lo studio, pubblicato il 18 gennaio sulla rivista Nature, ha fatto luce sul contributo degli ecosistemi fluviali agli scambi di ossigeno e gas serra con l’atmosfera.

Il ruolo dei corsi d’acqua nel ciclo globale del carbonio

I fiumi “si comportano come un organismo vivente, per esempio una pianta, che riesce a trasformare l’anidride carbonica presente nell’atmosfera in carbonio organico, per poi consumarlo per le proprie attività”, spiega Enrico Bertuzzo, professore di Idrologia all’Università Ca’ Foscari Venezia, fra gli autori della ricerca. “O anche come gli umani eterotrofi, che traggono l’energia dagli alimenti e, attraverso la respirazione, producono anidride carbonica”.

Negli ecosistemi fluviali sono presenti entrambe queste tipologie di organismi e, quindi, avvengono degli scambi di gas con l’atmosfera. Sono processi che si conoscono bene dal punto di vista degli oceani e delle foreste, mentre l’apporto dei corsi d’acqua non era stato ancora quantificato precisamente perché occupano una piccola porzione delle terre emerse. “In realtà, sono molto attivi, e hanno flussi paragonabili a quelli degli ecosistemi terrestri, come boschi e praterie. Ora bisogna capire quanto sia rilevante questo flusso per il ciclo globale del carbonio”.

fiumi e carbonio
Due ippopotami nel fiume Mara, in Kenya © Henrik Hansen/Unsplash

L’impatto dei cambiamenti climatici su ecosistemi fluviali e costieri

Nel loro viaggio verso l’oceano, le acque dolci trasportano sia carbonio organico che inorganico. A seconda delle quantità e della proporzione, l’influenza sull’ecosistema costiero è variabile. “Anche i cambiamenti climatici hanno un impatto, perché sappiamo che andranno ad alterare i regimi idrogeologici. Mentre l’aumento della temperatura potrà incidere sull’apporto di carbonio”, prosegue il professore. Anche l’urbanizzazione, il cambio dell’uso del suolo e la regolazione delle portate, comprese le dighe, possono influire sul metabolismo dell’habitat fluviale e sui relativi flussi di gas serra.

“Il sistema fluviale è, in qualche modo, il sistema vascolare dell’ecosistema terrestre. Quello che succede nell’ecosistema terrestre si riflette immediatamente in ciò che viene trasportato dai fiumi. Una conversione ad uso agricolo del suolo, con relativo uso di fertilizzanti, può avere un impatto sull’habitat fluviale, modificandone l’equilibrio”, chiarisce Bertuzzo. “Per esempio, ci si aspetta che un aumento di temperatura e di nutrienti possa portare a dell’anossia nei fiumi, cioè alla mancanza di ossigeno: questo fenomeno ha un grosso impatto sugli organismi viventi, ma modifica anche l’equilibrio biogeochimico e può portare alla produzione di gas come metano e ossido di diazoto, che hanno un potenziale climalterante maggiore di quello della CO2.

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La necessità di un Sistema di osservazione dei fiumi

I corsi d’acqua, specialmente quelli più piccoli, sono più difficili da osservare rispetto agli oceani e agli ecosistemi terrestri che, invece, sono distribuiti in maniera più uniforme e si possono osservare facilmente anche da satellite. “Quindi, per avere dati più precisi, è necessario integrare diversi strumenti, dalle osservazioni satellitari al monitoraggio in situ, fino ai modelli matematici”, conclude il professore. Per questo, i ricercatori propongono l’istituzione di un Sistema di osservazione dei fiumi (River Observing System, RIOS) che possa fungere da strumento diagnostico, permettendo di monitorare lo stato di salute delle acque dolci e di rispondere alle interferenze umane.

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Nata in provincia di Sondrio, ha studiato a Milano e Londra. Giornalista pubblicista, si occupa di questioni legate alla crisi climatica, all’economia circolare e alla tutela di biodiversità e diritti umani.