20110921024535 Brasileil30settembreverrpresentatoilreportOIRIl Brasile non intende aderire all’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio né partecipare all’accordo per limitare le estrazioni, vogliamo aumentare la nostra produzione”. Le parole profferite dal ministro dell’energia del paese carioca Bento Albuquerque che creano apprensione nel mondo dei paesi produttori di petrolio.

Gli effetti di una scelta inaspettata

Una decisione che avrà un impatto notevole negli equilibri del cartello petrolifero: dopo aver ridotto la produzione, dal 2015, da 32.6 milioni di barili/g a 30, hanno ottenuto una stabilizzazione del prezzo. Contemporaneamente, però, gli Usa sono diventati esportatore netto di olio combustibile, erodendo la quota del cartello, che è passata, nello stesso periodo, dal 33,6% al 28,5.

Adesso, nonostante le previsioni di un ridotto aumento del petrolio di scisto degli Stati Uniti per il 2020 avevano acceso speranze nel responsabile dell’Opec, Bin Salman, con le notizie che  arrivano da Brasilia i paesi associati sono in difficoltà: dopo gli effetti negativi previsti dalla diffusione del coronavirus, con i conseguenti tagli ipotizzati, dopo la decisione di Usa e Norvegia di aumentare i propri volumi di estrazione facendo salire le forniture dei paesi non Opec fino ai 2,3 milioni di b/g valore record dal 1978. Ecco che la scelta di Bolsonaro di rimanere fuori dal gruppo di paesi produttori, dopo aver accarezzato l’idea di associarsi nel novembre scorso, crea parecchi interrogativi. Anche le azioni fruibili per fronteggiare questo scenario non sembrano risolutive. La riduzione della produzione attualmente non comporta più l’automatico aumento del prezzo del petrolio, mentre un prezzo non adeguato porta gravi scompensi alle finanze dei paesi partecipanti, che, lo ricordiamo, hanno l’oro nero come esclusiva fonte di ricavi.

Prospettive future

In questo contesto, il Brasile continua ad aumentare la quantità estratta: nel 2019 ha raggiunto i 3 milioni di b/g e adesso punta a superare i 7 milioni entro i prossimi 10 anni; la parte destinata all’esportazione è salita di 459.000 b/g, risultato inferiore solo a quello ottenuto da Usa e Norvegia.

Come spesso succede in questi casi, le cattive notizie per il cartello con sede a Vienna non finiscono qui. La volontà palesata in più occasioni da Rosneft, l’azienda petrolifera russa partecipata in maggioranza dal governo russo, di abbandonare l’Organizzazione ha trovato in questa situazione nuovi spunti: fonti del governo hanno rilevato che, a fronte di conservare la quota di mercato e di investire nello sviluppo da parte delle compagnie russe, le decisioni del Brasile avranno un peso rilevante nelle scelte future di Mosca riguardo la permanenza nell’Opec.

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