IMG 20190209 WA0003
Foto scattata sul Monte Velino da Sacha De Propis

“La lingua del Ghiacciaio dei Forni, uno dei più importanti apparati glaciali italiani, potrebbe contenere da 131 a 162 milioni di particelle di plastica”. Queste hanno sia origine locale, “data ad esempio dal rilascio e/o dall’usura di abbigliamento e attrezzatura degli alpinisti ed escursionisti che frequentano il ghiacciaio”, che diffusa, “trasportate da masse d’aria, in questo caso di difficile localizzazione”.

È la stima frutto dell’indagine, condotta nell’estate del 2018 dal team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano e di Milano-Bicocca. Lo studio sulla contaminazione da plastica nelle aree di alta montagna è il primo di questo genere. Una sfida per i ricercatori italiani che hanno dovuto indossare tessuti di cotone al 100% e zoccoli di legno per evitare l’ulteriore contaminazione di particelle di plastica presenti nell’abbigliamento tecnico da montagna.

Leggi anche Marine litter, minaccia sempre più vicina

Sul Ghiacciaio dei Forni, a circa 3.000 mt di quota nel Parco Nazionale dello Stelvio, in Lombardia, i ricercatori, come si legge sul sito dell’ateneo, hanno ritrovato poliestere, poliammide, polietilene e polipropilene “nella misura di 75 particelle per ogni chilogrammo di sedimento”. Il dato, si precisa, “è comparabile al grado di contaminazione osservato in sedimenti marini e costieri europei”.

In realtà, già si pensava che “i ghiacciai non sono ambienti incontaminati, ma immagazzinano diversi inquinanti di origine antropica rilasciati nell’atmosfera”, spiega il professor Andrea Franzetti dell’Università di Milano-Bicocca. Il dato più interessante è che “le microplastiche potrebbero fornire un substrato dove queste sostanze possono accumularsi”, prosegue Franzetti. Adesso bisognerà indagare “gli aspetti biologici legati alla loro presenza sui ghiacciai”, ovvero “i processi microbiologici di degradazione della plastica e il potenziale bioaccumulo delle particelle nella catena trofica”. 

Pesticidi in alta quota

La scoperta sulle microplastiche arriva neanche un mese dopo l’annuncio del ritrovamento in alta quota lungo tutto l’arco alpino di pesticidi per l’agricoltura usati in Pianura Padana. Anche questa è solo una conferma. Gli autori sono gli scienziati dei gruppi di ecotossicologia e di glaciologia della Milano-Bicocca: hanno analizzato una carota prelevata dal ghiacciaio del Lys, nel massiccio del Monte Rosa, e campioni di acqua di fusione da sei ghiacciai alpini: Lys nel gruppo del Monte Rosa, Morteratsch nel Massiccio del Bernina, Forni nel gruppo dell’Ortles Cevedale, Presena nel gruppo della Presanella, Tuckett nel gruppo del Brenta e Giogo Alto nel gruppo del Palla Bianca-Similaun.

I ghiacciai, si legge in una nota stampa, sono “accumulatori di contaminanti trasportati in atmosfera e evidenziando una connessione con gli usi agricoli nelle aree limitrofe alle Alpi”.

Nelle acque di fusione la concentrazione di chlorpirifos risultano superiori di quasi cento volte al valore soglia. Una minaccia concreta per il gruppo dei macroinvertebrati, in particolare degli insetti. “L’entità della contaminazione e la sua distribuzione spaziale evidenziano l’esigenza di aggiornare le procedure di valutazione del rischio ecologico che considerino anche il trasporto atmosferico a media distanza, attualmente trascurato, ma di fondamentale importanza per la concessione dell’autorizzazione ministeriale relativa alla messa in commercio del prodotto fitosanitario, al fine di proteggere le comunità acquatiche alpine”, commenta in nota stampa Antonio Finizio, ecotossicologo di Milano-Bicocca.

Cinema e montagna

L’inquinamento da microplastiche, dunque, non riguarda solo laghi, fiumi, mari e oceani, come più volte approfondito su Canale Energia. Ma l’acqua in generale. Insieme ad Alessandra Raggio, direttrice artistica del Banff, abbiamo parlato di quanto gli sport estremi e le attività di ripresa delle stesse possano sconvolgere gli equilibri della montagna.

Anche Cyril Salomon, l’ideatore del festival cinematografico internazionale Montagna in scena, in questi giorni nelle sale italiane, spiega che l’obiettivo del festival “è dimostrare la bellezza e la fragilità della montagna. Gli appassionati saranno coloro che potranno meglio di altri difenderla e proteggerla”.

Non è possibile avere una misura scientifica del cambiamento dei gruppi montuosi con il trascorrere delle edizioni del festival. “A titolo personale posso dire che non avevo mai visto tanto ghiaccio in alta montagna come nel mese di febbraio. Ho accompagnato alcuni amici ai Domes de Miages e il ghiaccio è ovunque verso la fine dell’itinerario. È triste vedere la montagna in questo stato”.

Di certo, prosegue Salomon, le attività di ripresa cinematografica hanno un impatto negativo sull’ambiente:“Prima di girare un film su una scalata, ad esempio, bisogna mettere in sicurezza tutta l’equipe. Per le riprese sono stati collocati molti spit (punti di ancoraggio per arrampicata e alpinismo ndr)”. C’è da dire che “negli ultimi anni l’uso di droni ha permesso di limitare l’uso di elicotteri” e che “grazie alle dimensioni sempre più ridotte delle videocamere è oggi possibile girare le scene riducendo l’impatto sulla montagna”. Sono tanti, infatti, gli sportivi che filmano da soli le proprie imprese.

Print Friendly, PDF & Email

Per ricevere quotidianamente i nostri aggiornamenti su energia e transizione ecologica, basta iscriversi alla nostra newsletter gratuita

Tutti i diritti riservati. E' vietata la diffusione
e riproduzione totale o parziale in qualunque formato degli articoli presenti sul sito.
Giornalista professionista e videomaker, attenta al posizionamento seo oriented degli articoli e all'evoluzione dei social network. Si occupa di idrogeno, economia circolare, cyber security, mobilità alternativa, efficienza energetica, internet of things e gestione sostenibile delle foreste