I gestori della rete carburanti sono in ginocchio. Nel mese di marzo i circa 21.500 punti vendita presenti sul territorio nazionale hanno stimato una perdita del 90% rispetto al marzo del 2019. Per l’erogato si tratta di circa 1,95 miliardi di litri di carburante, tra la seconda settimana di marzo e il 6 aprile. Cifra che sale a 2,9 miliardi di euro se si guarda il fatturato complessivo, incluse tasse e imposte allo Stato.

L’80% di questi gestori cerca di resistere per garantire un servizio essenziale. Nella rete stradale, molti garantiscono il rifornimento in modalità del self-service con l’accettazione di banconote o carte, così da rispettare in pieno le regole di distanziamento sociale. Alcuni lavorano a singhiozzo, costretti a chiudere quando esauriscono le scorte medie, che sono ridotte al minimo tra 2/5 mila litri per prodotto. In autostrada le regole sono diverse: gli impianti devono essere aperti tutto l’anno per 24 ore al giorno e i costi di gestione restano alti, tra salari ai dipendenti e royalties ai concessionari. “Una difficoltà grossa se si considera che, se va bene, ogni giorno vengono erogati 1.000 litri di carburanti contro una media di 15.000”, commenta a Canale energia il presidente di Faib Confesercenti, Martino Landi.

Il grido d’allarme è stato lanciato settimane fa: “I mezzi d’informazione e i giornalisti a caccia di scoop hanno travisato le nostre parole. Non abbiamo mai minacciato uno sciopero. Non ce lo saremmo nemmeno sognato in una situazione come questa”. In seguito alla disponibilità raccolta da Unione petrolifera verso i suoi associati per adottare misure di supporto alla crisi e dare una boccata d’ossigeno all’intera filiera, almeno fino al 3 maggio, venerdì scorso in tarda serata, spiega Landi a Canale Energia, le sigle sindacali Faib, Fegica e Figiscc hanno chiuso accordi con Eni, Q8 e Tamoil (aderenti all’UP) ed IP. “Le compagnie petrolifere si faranno carico di alcuni costi al momento insostenibili per i gestori. Anche perché, se il gestore non vende la compagnia petrolifera non guadagna. Abbiamo così scongiurato il danno, preannunciato, lunga tutta la filiera”. Si tratta comunque di un accordo tampone, rimarca Landi, in attesa che il governo emani forme di difesa del reddito, fiscali e non, e sostegni economici concreti. “Ad esempio, al momento c’è ancora poca chiarezza sulla cassa integrazione per i dipendenti delle attività che vanno avanti”.

A questa misura si aggiunge l’ipotesi di una turnazione dell’apertura delle aree di servizio autostradali: “Distano circa 20-30 km l’una dall’altra. Se ne chiudiamo una ogni tre, per una settimana ciascuna, garantiamo il rifornimento ogni 60 km circa fino al 3 maggio. O anche dopo, quando ci sarà una riapertura graduale del Paese. E senza pesare sul consumatore finale”.

In questa situazione di emergenza, c’è un vero e proprio braccio di ferro con i concessionari autostradali, afferma Landi. “I punti di rifornimento autostradali sono gestiti per volontà dello Stato da alcuni concessionari i quali, a loro volta, ne affidano la gestione attraverso i bandi di gara. Chi vince dovrà versare le royalties per nove anni. Oggi arrivano anche a 10 cent/litro, il doppio del margine del gestore”. E i concessionari, rimarca Landi, fanno resistenza: “Non abbassano le royalties e non hanno stornato alcun costo ai gestori, a fronte di un impegno formale assunto con il governo e con i ministri dello Sviluppo economico e dei Trasporti”.

Chi viaggia in autostrada in questi giorni pagherà meno il carburante, forse meno di quanto immaginato. “Nelle ultime settimane la quotazione del greggio è precipitata. C’è stato un lieve rialzo nelle ultime ore perché a livello globale si è deciso di rallentare l’estrazione e la produzione. La riduzione del prezzo al barile non è proporzionale a quella che troviamo alla pompa per il meccanismo delle royalties sopra descritto. Su un litro di benzina c’è sempre un euro da pagare tra Iva e accise. E questo accende una polemica che è sempre esistita e sempre esisterà”.

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