Carbon footprint, perché misurare l’impronta di carbonio conviene?

Come conoscere il proprio impatto ambientale può aiutare anche a ridurre le spese

neutralità carbonica Carbon footprint

La crisi climatica è in corso e tutti possiamo fare qualcosa per limitarne i danni. Per agire al meglio è diventato ormai fondamentale conoscere la propria impronta di carbonio. Spesso citato con la terminologia inglese “carbon footprint”.

Come una azienda può conoscere la propria impronta di carbonio

Si tratta di uno strumento che permette a un’azienda la quantificazione delle emissioni di carbonio dei loro prodotti o servizi. La certificazione Carbon Footprint (CFP), definita dalla norma internazionale ISO 14067:2018, consente di calcolare la quantità di anidride carbonica equivalente (CO2 eq) emessa nell’intero ciclo di vita del prodotto, permettendo anche di comprendere dove e come agire per ridurre il proprio impatto.

Funziona un po’ come una dieta. Se sappiamo cosa ci fa prendere più chili possiamo ridurre o eliminare certi cibi e magari integrare qualche sana abitudine di motricità. Allo stesso modo funziona l’analisi dei propri consumi. Potremmo scoprire, una volta effettuata una prima indagine della nostra carbon footprint, che consumiamo livelli troppo elevati di acqua o di energia e decidere quindi di intervenire nel processo di produzione, magari rivoluzionandolo e ottimizzando costi e sprechi.

Da questa analisi potrebbero emergere anche negligenze esterne all’azienda intesa in senso stretto. Ad esempio, lo strumento permette di capire se un nostro fornitore è altamente inquinante e se quindi non convenga rivolgerci altrove. Dipende fino a dove estendiamo l’analisi.

Oggi il metodo più efficace in ambito industriale e produttivo è l’analisi del cosiddetto ciclo di vita completo che include tutti i processi, arrivando, dove possibile, anche al fine vita post vendita e alle possibilità di riuso.

Attraverso questa certificazione è possibile, inoltre, integrare dei processi che permettono di compensare l’inquinamento provocato cercando di bilanciare il proprio impatto sull’ambiente. Il calcolo di una Carbon footprint di prodotto, infatti, grazie alla realizzazione di uno studio basato sulla metodologia della Life Cycle Assessment (LCA), considera l’effetto provocato non solo dall’emissione e dalla rimozione di CO2 ma di tutti quei gas a effetto serra (GHG) responsabili del surriscaldamento globale (Global Warming).

Come scegliere chi effettua l’analisi di carbon footprint

Viste le importanti decisioni imprenditoriali che possono conseguire da questa tipologia di indagine è evidente come sia centrale effettuare un’analisi corretta del proprio impatto ambientale. Per questo è fondamentale la scelta del soggetto che dovrà svolgere questo delicato e sempre più strategico compito. ICMQ, ente di certificazione specializzato nell’ambito sostenibilità, è uno dei soggetti accreditati in grado di supportare le imprese su questo processo.

“L’ottenimento di una certificazione da parte di un organismo come ICMQ, accreditato da Accredia per svolgere la verifica di una CFP di un prodotto o servizio, è per un’azienda un modo per dimostrare al mercato l’attenzione rivolta a questa importante tematica ambientale, e costituisce il primo passo per poter orientare una politica aziendale in direzione di una sempre maggiore riduzione delle emissioni di carbonio nei propri processi” afferma Ugo Pannuti, responsabile certificazione sostenibilità ICMQ SpA Società Benefit.

Certificarsi è utile al Pianeta e a misurare gli sprechi

In quest’ottica, per un’organizzazione che intende valutare la CFP di diversi prodotti caratterizzati da stessa tipologia e processo produttivo, può rappresentare una scelta vincente quella di dotarsi di un sistema di gestione aziendale appositamente pensato per sviluppare correttamente CFP di prodotti entro un determinato campo di applicazione. Si parla in questo caso di “Carbon Footprint Systematic Approach” (CFP-SA), anch’esso oggetto di una possibile certificazione da parte di un organismo accreditato Accredia come ICMQ, che, una volta ottenuta, consente all’organizzazione di calcolare in autonomia la CFP di ogni singolo prodotto senza ricorrere a un’ulteriore verifica da parte di un soggetto terzo.

Anche per gli operatori mostrarsi al mercato con una certificazione delle competenze documenta l’agire secondo le migliori pratiche riconosciute a livello europeo. E non solo: diventa anche una garanzia per il proprio stesso operato in quanto, come sottolinea Ugo Pannuti: “è per un’azienda un modo per dimostrare al mercato l’attenzione rivolta all’ambiente, e costituisce il primo passo per poter orientare una politica aziendale in direzione di una sempre maggiore riduzione delle emissioni di carbonio nei propri processi”.

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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.