Al via la climate litigation contro Eni

L'azione avviata da Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani che stanno subendo effetti diretti della crisi climatica.

Climate litigation contro Eni
Foto Shutterstock

È stato notificato ieri 9 maggio a ENI S.p.A. un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei suoi confronti e nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla società.

La prima di questo genere contro una società di diritto privato in Italia.

L’oggetto della climate litigation “per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui ENI ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole”.

A far partire l’azione legale denominata #LaGiustaCausa sono Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani che stanno subendo direttamente gli effetti della emergenza climatica.

Le climate litigation sono azioni legali avviate con lo scopo di imporre a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e di limitazione del riscaldamento globale. A livello globale, il numero complessivo di tali azioni è più che raddoppiato dal 2015, portando il totale a oltre duemila.

Le richieste della climate litigation a ENI

  • L’azione prevede che il Tribunale di Roma accerti se ci sia stato un danno consapevole verso i “diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata“.
  • Inoltre, viene chiesto alla SPA di rivedere la propria strategia industriale così da ridurre le emissioni della propria attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai dati 2020.
  • La climate litigation vede coinvolto anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista influente di ENI, a cui si richiede di adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi.

Perché la strategia industriale di Eni non guarda seriamente alla crisi climatica

Secondo i citanti, la strategia di decarbonizzazione di ENI sta violando gli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società.

Al centro dell’azione anche il fatto che gli extra profitti record realizzati nel 2022 siano dedicati all’espansione del business fossile. Azione suffragata, secondo le parti in causa, dalla riconferma di Claudio Descalzi al vertice della società.

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È l’attribution science che punta il dito su Eni e i suoi pari

L’attribution science è quella scienza che consente di ricondurre a un preciso soggetto un quantitativo determinato di emissioni non conformi con quelli che sono i valori fissati a livello internazionale.

Facendo proprio questo tipo di valutazioni, la parte lesa evidenzia come il quantitativo di emissioni di gas serra prodotti da ENI sia responsabile a livello globale di una quantità superiore all’intera Italia. Questo ne farebbe uno dei principali artefici del
cambiamento climatico in atto.

I dati analizzati sono stati elaborati dalle stesse compagnie petrolifere, inclusa l’ENI. Fatto che secondo l’atto citato le rende consapevoli di quanto stanno facendo.
Si tratterebbe di una condotta che visti i rischi per l’ambiente e per la salute, violano diritti umani tutelati e protetti sia dalla Costituzione italiana sia, attraverso quest’ultima, da norme internazionali e accordi vincolanti per gli Stati e per le aziende a cui ENI dichiara di aderire.

Esempi citati sono le Convenzioni ILO in materia di diritto del lavoro e la Convenzione OCSE contro la corruzione internazionale.

Alcuni dei danni ambientali in Italia citati dalla parte lesa civile

I civili che si dichiarano parte lesa nell’azione #LaGiustaCausa spiegano come il cambiamento climatico stia cambiando già oggi il proprio habitat.

È il caso di Rachele che vive in Piemonte. Regione che, come evidenzia lei stessa, “subisce già oggi gli effetti di una drammatica siccità, come dimostra il bassissimo livello delle precipitazioni registrato quest’inverno. Un problema che probabilmente si aggraverà in futuro. Ecco perché ho deciso di partecipare a questa azione legale in qualità di parte lesa. Non ritengo giusto che il principale fornitore di energia italiano, di cui lo Stato tra l’altro è il maggiore azionista, possa portare avanti anno dopo anno un programma di investimenti che va contro gli obiettivi fissati dall’ultimo rapporto dell’IPCC, massima autorità scientifica globale in fatto di cambiamenti climatici”.

Vanni vive invece nei pressi del Delta del Po“Il mare avanzerà sempre di più nelle nostre terre, e con la risalita del cuneo salino rischiamo di trovarci a vivere in un vero e proprio deserto o di essere costretti abbandonare la nostra casa e la nostra terra”.

Il precedente di Shell

Con la sentenza del 26 maggio 2021, il tribunale distrettuale della città dei Paesi
Bassi, ha accolto l’azione proposta dall’organizzazione Milieudefensie verso Royal
Dutch Shell. Il Tribunale ha ordinato alla compagnia petrolifera britannica di ridurre entro il 2030 le emissioni di CO2 del 45%, rispetto ai livelli del 2019.

Il presupposto è che la protezione dalle conseguenze del cambiamento climatico
costituisce un “diritto umano”. Su questo la corte dei Paesi Bassi ha sancito l’inadeguatezza delle strategie adottate dalla società petrolifera in tema di emissioni di CO2, in relazione a un’imminente possibile violazione del diritto alla vita dei residenti dei Paesi Bassi e degli abitanti della regione di Wadden, sulla base di evidenze scientifiche e standard internazionali.

Attualmente Shell ha impugnato la causa.

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