Petrolio dalla Russia, la protesta di Greenpeace

GP_Azione_PeaceNotOil_01“Peace not oil” (Pace non petrolio) la scritta a lettere cubitali che Greenpeace ha realizzato sulla fiancata della petroliera SCF Baltica proveniente dalla Russia lo scorso 15 aprile nel mar Ioni di fronte a Siracusa.

Una denuncia sul legame profondo tra il petrolio e il gas fossile che l’Europa importa dalla Russia e il conflitto in corso in Ucraina.

“I leader politici dell’Unione Europea si comportano in modo contraddittorio e ipocrita: se da un lato condannano l’invasione russa dell’Ucraina, dall’altro continuano a finanziare il conflitto attraverso l’acquisto di combustibili fossili, che significa nuove entrate per le casse del governo di Putin. È necessario porre fine alla dipendenza da tutte le fonti fossili, non solo quelle russe, per assicurarci un futuro senza conflitti e limitare gli impatti della crisi climatica” dichiara Federico Spadini, campagna clima di Greenpeace Italia.

La petroliera SCF Baltica è salpata il primo aprile da Primorsk, in Russia, trasportando circa 110 mila tonnellate di greggio fino alla Rada di Santa Panagia, vicino Siracusa. Al momento altre cinque navi che trasportano petrolio o gas liquefatto dalla Russia sono in arrivo sulle coste italiane, e moltissime altre in tutta Europa segnala Greenpeace.

Ai governi europei chiediamo di mettere subito fine a qualsiasi forma di importazione, commercio, produzione e investimento su petrolio, gas fossile e carbone in Russia, e di abbandonare rapidamente un sistema energetico basato sulle fonti fossili che ci espone a rischi di ogni tipo: economici, energetici, ambientali“, continua Spadini. “Per promuovere la pace, l’Unione europea deve investire seriamente in una transizione energetica basata su fonti rinnovabili, infrastrutture di distribuzione efficienti, risparmio energetico per le abitazioni e il settore industriale, e una mobilità sostenibile basata sul trasporto pubblico” conclude.


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