La salute dell’uomo è sempre più minacciata. Colpa dei cambiamenti climatici che stanno danneggiando, irreversibilmente, gli ecosistemi di tutto il mondo. Ancora oggi, però, è difficile riuscire a quantificare gli impatti unici e di lungo termine sul capitale naturale. Come soppesare il valore dell’acqua e dell’aria pulita o degli ecosistemi naturali?

Bernardo A. Bastien-Olvera e Frances C. Moore hanno pubblicato lo scorso 28 settembre sulla rivista specializzata Nature sustainability un articolo a riguardo. La Moore l’ha presentata in un web in air promosso da Cmcc ieri, 14 ottobre. Vogliono dimostrare quanto sia importante riuscire a calcolare i costi dei beni forniti dai sistemi naturali dalla natura completamente diversa da quella commerciale. L’obiettivo è di inserirli nell’analisi costi-benefici delle normative sulla politica climatica e colmare l’assenza di modelli in grado di calcolare i costi delle emissioni di gas a effetto serra.

capitale naturale
Una slide proiettata da Frances C. Moore durante il web in air promosso da Cmcc.

I due ricercatori hanno adoperato un modello di valutazione costi-benefici esistente e l’hanno integrato con il capitale naturale inteso come forma di ricchezza. Solitamente, i modelli economici climatici riportano due fattori fondamentali: il capitale umano, il lavoro, e il capitale prodotto, come edifici e macchine. In questo caso è incorporato un terzo elemento costitutivo: il capitale naturale, che include i sistemi naturali e habitat.

Il capitale naturale garantisce benefici tangibili, ad esempio il controllo dell’erosione costiera, e intangibili, come la conservazione delle foreste. Una volta perduti non possono essere facilmente sostituiti o recuperati. Nelle politiche economiche per il clima mancano i costi economici associati a tale perdita. Eppure, evidenziano gli autori, i benefici del capitale naturale su produzione economica e benessere umano aiutano a mitigare il danno climatico.

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Una slide proiettata da Frances C. Moore durante il web in air promosso da Cmcc.

“Nel nostro modello, utilizzando stime centrali per tutti i parametri, le emissioni ottimali raggiungono lo zero entro il 2050, limitando il riscaldamento a 1,5 ° C entro il 2100”, spiegano gli autori nell’introduzione alla ricerca. Rispettando gli obiettivi fissati negli Accordi di Parigi del 2015.

Entrando nel dettaglio, hanno adoperato la cosiddetta analisi Monte Carlo, ossia una classe di metodi computazionali basati sul campionamento casuale, e hanno esaminato l’influenza di diversi parametri chiave del modello incerto. Si sono poi concentrati sull’effetto degli investimenti adattivi nei sistemi naturali che compensano parzialmente i danni climatici.

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Una slide proiettata da Frances C. Moore durante il web in air promosso da Cmcc.

I loro risultati dimostrano che la quantificazione del valore economico della natura ha grandi implicazioni per la politica climatica e che il costo del cambiamento climatico potrebbe essere parzialmente alleviato investendo nel capitale naturale. Il “costo sociale del carbonio” che oggi viene usato dalle agenzie federali per rappresentare il danno a lungo termine causato da una tonnellata di emissioni di CO2 in un dato anno, evidenziano, potrebbe essere troppo basso.

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Una slide proiettata da Frances C. Moore durante il web in air promosso da Cmcc.

La migliore comprensione degli impatti climatici sui sistemi naturali e, di rimbalzo, sul benessere collettivo dovrebbe essere una priorità assoluta per la ricerca futura. Le nostre vite e le nostre economie, sottolineano, dipendono dai servizi ecosistemici che sono minacciati dai cambiamenti climatici. La natura, non va mai dimenticato, è componente fondamentale per il nostro benessere.

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