Maurizio Pontara è Ingegnere Meccanico certificato EGE da TUV. Consulente industriale dal 2010, diventa Direttore di Stabilimento e di Produzione in Multinazionali nei settori alimentare e meccanico (fra cui Kraft Foods, BOC, IVECO e Bracco). Nell’arco della sua carriera ha partecipato a un benchmarking fra stabilimenti Europei per definire le BAT su processi, energia, manutenzione, qualità, sicurezza e servizi. Con lui scopriamo quanto sia importante lavorare in team.
Nella sua esperienza di consulente esterno quali sono i benefici derivanti dall’attuazione di interventi di efficientamento energetico?
Occorre distinguere fra vantaggi contingenti e vantaggi strutturali. Nel primo caso i vantaggi, sia di tipo “ecologico” che “economico” ad esso conseguenti, sono legati a specifiche azioni su casi di inefficienza determinate da analisi ad hoc e possono essere considerati interventi spot, chiusi nel solo ambito tecnologico oggetto dell’analisi e dell’intervento. Nella seconda definizione sono compresi quegli interventi ad ampio spettro che non solo affrontano specifiche inefficienze, ma aggiungono anche un valore culturale che si estrinseca in analisi di interdipendenza dei vari processi e del concatenamento degli impatti (tecnologico, di processo, organizzativo, etc.) e in una generalizzata formazione a tutti i livelli dell’organizzazione, in modo da perpetuare nel lavoro di tutti i giorni e nelle scelte strategiche aziendali (impiantistiche, di processo, di prodotto, logistiche, di approvvigionamento, etc.) l’attenzione agli aspetti energetici. Ovviamente si passa da interventi (tecnologici) mirati a conseguire vantaggi energetici focalizzati a specifiche attività, a veri e propri cambiamenti che possono pervadere tutta la catena del valore: l’organizzazione, il processo, la tecnologia, la concezione del prodotto, gli impianti, i comportamenti, la logistica, gli approvvigionamenti etc. In un caso potrebbe bastare un tecnologo specializzato nel campo focalizzato, nell’altro occorre, da una parte, una visione complessiva degli aspetti energetici calati nella tecnologia e nel processo produttivo (presumibilmente necessario un team di esperti in diversi settori) e dall’altra, un profondo coinvolgimento dell’organizzazione committente, aperta al cambiamento anche nell’approccio a temi aziendali di sviluppo ed innovazione. Nel primo caso si ottengono risultati, anche eccellenti, rivolti al presente, nell’altro più faticoso, lungo ed oneroso, si fondano i presupposti per una costante e diffusa cura degli aspetti energetici e per sviluppi ulteriori.
Può esporci una best practice?
Fra gli interventi più semplici ed efficaci, ricordo la sostituzione di 3 compressori con un unico dispositivo che aveva una potenza inferiore alla loro somma in ragione del fatto che il software di funzionamento e la presenza dell’inverter consentivano di smussare i picchi di assorbimento e, tramite la maggior prontezza di risposta ai transitori, di ridurre la pressione massima di funzionamento (-0,8 bar) e il campo di regolazione a 0,1 bar. Il risparmio di energia media mensile previsto del 28% in realtà si è attestato fra il 31 e il 32%. Ovviamente, oltre al compressore, si sono rivisti ed ottimizzati il gruppo di condensazione aria compressa e il raffreddamento del compressore, il sistema di gestione con spegnimenti programmati e con eliminazione di perdite di linea. Grazie anche al contributo della Regione Lombardia il ritorno dell’investimento è stato inferiore ai 18 mesi.
Quale impatto economico hanno avuto sul bilancio queste attività? In quanto tempo le imprese sono rientrate nei termini dell’investimento?
L’impatto economico è quasi l’unico driver che induce le imprese a sostenere investimenti di efficienza energetica ed è in genere legato ad una percezione, già presente, che la situazione tecnologica in campo è superat. In questo quadro il ritorno dell’investimento può essere anche di 3 o 4 anni, altrimenti, se si devono superare remore sull’obsolescenza tecnologica, si pretendono rientri di 2 massimo 3 anni. Gli aggiornamenti sugli impianti di aria compressa (compressori con inverter, sistemi di gestione ottimizzata di pressione, portata, deumidificazione, gestione-temporizzazione di start-stop) in genere rientrano in questi termini.
Crede che le aziende con le quali ha collaborato svilupperanno nuove opportunità di investimento in termini di efficienza energetica?
Sono tempi difficili per gli investimenti e si privilegiano quelli legati strettamente al core business. Nel campo del risparmio-efficienza energetica, ulteriori spese ricevono probabilmente maggiore attenzione se scaturiscono da una percezione interna piuttosto che da una “dimostrazione” teorica da parte di un consulente. Ad esempio, è difficile convincere, e ancor più spingere all’azione, che passare ad una illuminazione LED può avere tempi di rientro inferiori a 2 anni.
Spesso l’EGE ha difficoltà ad agire sui decisori aziendali: come sensibilizzare a politiche razionali nell’uso dell’energia?
Domanda a cui è difficile rispondere. Non basta guadagnarsi la fiducia o dimostrare competenza, autorevolezza tecnica e sensibilità economica, l’Esperto è comunque giudicato esterno all’impresa e non coinvolto nelle decisioni “strategiche” del business. D’altro canto se l’azienda giudicasse “strategico” il fattore energetico, molto probabilmente si doterebbe di un Energy Manager interno. Pur provando rispetto, i decisori aziendali possono considerare l’EGE un elemento esterno che può minare la loro competenza e autorità. Parafrasando la domanda, forse l’EGE non deve agire “sui” decisori ma “con” i decisori aziendali.
L’assetto legislativo in tema di efficienza energetica risulta chiaro o esistono delle criticità sulle quali occorrerebbe intervenire?
Il quadro normativo è complesso anche perché l’uso dell’energia è variegato e complesso, specialmente nel settore industriale. Non essendo standardizzabili tutti i settori, l’approccio a consuntivo dovrebbe essere un processo più semplice da attuare.
Studiare da EGE: quanto conta la formazione?
A mio parere l’EGE deve avere una formazione profonda ma generalista in campo energetico, in modo da possedere la capacità di interloquire con i diversi specialisti e da condurre analisi energetiche approfondite nei diversi settori, spaziando dalla generazione elettrica (Diesel, gas, biogas, ORC, eolico, PV, cogenerazione, etc.) a quella termica (vapore, acqua calda-surriscaldata, fluidi di processo, aria calda, etc.), con i diversi processi disponibili (combustibili fossili, biomassa, rifiuti, o recupero di calore da processi industriali, cogenerazione, geotermia, PDC, etc.) e ancor più per l’analisi dell’uso dell’energia. A questo breve excursus di competenze di base andrebbero aggiunti continui aggiornamenti per l’analisi dei vari processi industriali negli aspetti tecnologici, logistici ed organizzativi. In sintesi non credo che ci debbano essere scuole di specializzazione “spinta” per gli EGE, piuttosto sarebbe utile che l’Esperto avesse una pregressa esperienza lavorativa in settori come la manutenzione, la produzione, la gestione o la progettazione di processi, impianti o macchine; questo per disporre di un background professionale che permetta di effettuare una preliminare concreta valutazione energetica dei processi produttivi e di individuare le priorità di analisi dei settori di risparmio-efficienza, a cominciare da azioni su risparmi a costo nullo (o quasi) che coinvolgono comportamenti e semplici misure di manutenzione.
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