Ecoplasteam1Sedie, componenti per l’automotive e occhiali da sole. Queste sono solo alcune delle possibili applicazioni dell’EcoAllene, una nuova famiglia di materiali frutto di un processo di riciclo dei “rifiuti poliaccoppiati”, ovvero formati da un film plastico e un film metallico. A produrre questa plastica green è l’azienda Ecoplasteam, che utilizza un processo produttivo coperto da brevetto, concesso in licenza dalla società svizzera REPLAN Global Sagl. Nello specifico, tra gli elementi innovativi di questo tipo di procedimento c’è la possibilità di trattare gli scarti senza effettuare una separazione dei due componenti del poliaccoppiato, ovvero il film plastico e il film metallico, e la capacità di realizzare un materiale finale dotato di caratteristiche fisiche costanti e uniformi.

Insieme a Carlo Maggi, presidente di Ecoplasteam, abbiamo approfondito la filosofia green dell’azienda. Un modus operandi in linea con l’ambiente che il gruppo declina anche attraverso iniziative collaterali trasversali a più ambiti, come ad esempio la scelta di adornare i capannoni con i murales dell’opera a tema green “Cosmogony” dell’artista Ernesto Morales o quella di ospitare 40 piante da frutta, un laghetto e degli animali da cortile nella sede produttiva. Qui di seguito abbiamo analizzato i temi più prettamente tecnici e industriali del business dell’azienda, legati ai vantaggi del processo di creazione dell’EcoAllene e alle principali criticità incontrate nello sviluppo di questo progetto industriale.

Come si articola il procedimento che porta alla produzione dell’EcoAllene?

In azienda arriva un sottoprodotto del recupero dei cartoni per bevande che si produce in cartiera  attraverso un’opportuna lavorazione. Si tratta di un residuo composto da polietilene e alluminio su cui noi andiamo a lavorare nei nostri impianti. La prima parte del processo a cui sottoponiamo questo sottoprodotto si articola in due fasi: un lavaggio profondo e uno sminuzzamento. Il lavaggio è necessario, perché durante la lavorazione preliminare in cartiera non viene eliminata tutta la cellulosa. Di solito è ancora presente una piccola percentuale che può variare dal 2-3% delle cartiere più virtuose al 20% di quelle meno virtuose. Noi ci approvvigioniamo in strutture che forniscono un sottoprodotto con percentuali molto basse. La cellulosa deve essere eliminata completamente dal materiale, perchè risulta molto dannosa per il processo di riciclo. Lo stesso vale per altre componenti come il pet o pezzetti di ferro o pietruzze, che possono essere presenti. Per questo motivo il primo step prevede il lavaggio profondo e lo sminuzzamento in modo che le varie componenti diverse dal polietilene e alluminio vengano in qualche modo scartate.

Una volta che lo scarto viene lavato, sminuzzato e asciugato, passa alla seconda fase che è l’agglomerazione. Le foglioline di plastica e alluminio sminuzzate occupano un grande volume, per questo vengono scaldate e ridotte in una polvere agglomerata. In questo modo il materiale viene omogeneizzato e preparato alla fase di additivazione/blendizzazione ed estrusione. Dall’agglomerato in scagliette si arriva, quindi, ad avere il granulo di EcoAllene.

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Come viene poi reimpeigato l’EcoAllene?

Faccio una premessa. Con il termine EcoAllene si intende una famiglia di materiali. Il nostro sistema prevede la possibilità di caricare e addittivare questo prodotto con altre sostanze o altre plastiche provenienti da filiere di riciclo. A seconda delle diverse esigenze del cliente si possono aggiungere plastiche nobili da riciclo o sostanze come per esempio il silicio o la fibra di vetro.  Ci sono tantissime possibilità che permettono di andare incontro alle diverse esigenze dei clienti.

Può fare un esempio concreto?

La produzione del nuovo EcoAllene è partita dallo scorso dicembre e attualmente non ci sono ancora nuovi prodotti realizzati con questo materiale. Al momento stiamo trattando con diversi player, anche internazionali, che stanno portando avanti delle sperimentazioni. In generale possiamo dire che le applicazioni vanno dalle sedie in plastica, alle componenti per l’automotive, alle penne, agli occhiali da sole o a tutti i gadget e prodotti in plastica.

Oggi il nostro target è principalmente legato alla lavorazione del sottoprodotto ottenuto dalle confezioni per bevande. Questa scelta è stata dettata dal fatto che questo materiale contiene una plastica composta da polietilene e alluminio accoppiati che è sempre uguale a se stessa e garantisce una costanza a livello di fornitura. Tuttavia puntiamo ad estendere il processo anche ad altri materiali come i sacchetti delle patatine o le cialde del caffé. In quest’ottica abbiamo appena presentato le carte per la  costituzione di un’altra startup innovativa che sarà figlia di Ecoplasteam. L’oggetto sociale sarà proprio lo studio e l’implementazione di processi industriali per il riciclo di tutti i poliaccoppiati di polietilene e alluminio.

Può sintetizzare i principali vantaggi del processo?

Si tratta di un processo completamente meccanico, con un bilancio energetico complessivo vantaggioso a livello di impianto di lavorazione. C’è infatti un minor consumo rispetto alla creazione di nuova plastica. Il nostro è un procedimento di riciclo che non immette nuova plastica nel mondo. Inoltre la natura meccanica del procedimento fa sì che non vengano utilizzati ad esempio gli alcoli o gli acidi, che verrebbero impiegati per separare polietilene e alluminio. Grazie alla nostra filiera circolare potremo evitare che vengano bruciate circa 7 mila tonnellate di sottoprodotto ogni anno per ogni nostro impianto. Infine va menzionato il fatto che noi riusciamo a produrre una materia prima che ha sempre le stesse caratteristiche tecniche. In questo modo possiamo dare al cliente la garanzia che questa plastica non muterà agevolando il processo di riciclo ed i processi produttivi a valle.

Quali criticità avete incontrato nel promuovere la vostra filiera?

Una prima questione non è collegata al tema ambiente, ma solo al modo di fare impresa nel nostro Paese. Noi abbiamo scelto lo strumento della start-up innovativa, un percorso che ha richiesto molto impegno. Si è trattato di un iter in cui non è sempre stato semplice districarsi. Abbiamo dovuto mettere insieme altissime professionalità in ambito legale, consulenziale e finanziario per riuscire a creare un’architettura di progetto che fosse bancabile per la nostra iniziativa, prima al mondo nel suo genere. Gli strumenti normativi e le opportunità  ci sono. La questione centrale è che per fare impresa ci vogliono i professionisti giusti e gli interlocutori bancari giusti che siano in grado di capire il “venture”.

L’altra questione riguarda invece più specificamente l’ambito ambientale. A livello normativo da questo punto di vista abbiamo trovato delle criticità legate alla questione dell’end of waste. Com’è noto la sentenza del 28 febbraio 2018 n. 1229 del Consiglio di Stato ha stabilito che la competenza per stabilire se un rifiuto possa essere considerato end of waste spetti allo Stato e non più alle Regioni. Tuttavia, da quella data, su questo fronte è rimasto tutto bloccato e non è arrivata nessuna normativa nazionale in materia. Nessuna azienda ad oggi può quindi essere autorizzata a riciclare un rifiuto che non sia già previsto dalla normativa. Noi, pur avendo le competenze per farlo, non possiamo quindi riciclare i rifiuti, ma dobbiamo per forza acquistare, per i nostri processi produttivi, dei sottoprodotti che siano già stati lavorati e siano in linea con le normative italiane ed europee in tema di sottoprodotti. La gravità della situazione normativa, seppure non abbia fermato la nascita del primo impianto, che viene alimentato a sottoprodotti, sicuramente bloccherà la nascita di altri impianti (almeno 5) che potrebbero essere costruiti in Italia. Infatti i sottoprodotti disponibili in Italia non sono più di 7.000 tonnellate, e così dovremo localizzare i prossimi impianti in altri Stati Europei, dove le normative permettono di operare sui rifiuti. Se teniamo conto del fatto che ogni impianto può dare lavoro ad almeno 15 persone, stiamo parlando di 75 famiglie, non poco in tempi difficili come questi.

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Giornalista professionista e videomaker con esperienze in diverse agenzie di stampa e testate web. Laurea specialistica in Filosofia, master in giornalismo multimediale.