Dal 1° gennaio 2022 in Italia parte la raccolta differenziata del tessile. Resta ancora tutta da organizzare: nel settore sono diversi i quesiti che rimangono aperti per renderlo circolare, soprattutto alla luce di questo appuntamento che l’Italia ha deciso di anticipare. 

“Chissà se saremo davvero pronti per raccogliere questa sfida o se diverrà emergenza ambientale oppure un’opportunità per le imprese”, ha chiesto in via retorica Daniele Gizzi, responsabile settore ambiente ed economia circolare di Confartigianato imprese, al talk tenutosi il 27 ottobre in forma virtuale e dal vivo a Ecomondo, organizzato da Economia circolare, dal titolo “Ecoprogettare, innovare, misurare: il futuro del tessile circolare”.

Una sfida da cogliere

“Occorrono strumenti per coglierla (la sfida ndr): dal 1° gennaio la raccolta comunale sarà obbligatoria, abbiamo già una filiera del riuso e del recupero?”, domanda Gizzi. Un altro problema che Gizzi pone è quello di una classificazione non uniforme sul territorio nazionale degli scarti tessili pre-consumo, che sono ancora ritenuti rifiuti e non sottoprodotti, come invece andrebbero considerati. Altra sfida, oltre a quella di dotarsi di strumenti normativi, è quella economica: servono investimenti per costruire impianti e poter recuperare gli scarti post-consumo non riutilizzabili.

Casi concreti di economia circolare

L’Italia ha tanti casi di aziende che applicano quotidianamente i principi dell’economia circolare in un settore che ha bisogno di grandi quantitativi di acqua e che rischia di inquinare e sprecare attraverso gli scarti.

Tra esse, la Giletti Spa, azienda che rigenera il cotone da più di sessant’anni, recuperando i ritagli. Una difficoltà evidenziata da Emanuele Giletti, ad dell’omonima azienda, per quanto riguarda il ciclo della rigenerazione è che “siccome le analisi si fanno su tutta la partita di tessuto, può capitare di trovarvi dentro qualcosa di inquinato o che contiene degli altri materiali che non sono solo cotone. Perciò spesso valutare cosa arriva all’origine è difficoltoso, magari anche perché è falso il certificato di origine del materiale stesso”.

Il recupero dell’acqua tintoria

Un’altra azienda che ha deciso di fare della circolarità un obiettivo è la Europrogetti Srl. Questa ha progettato degli impianti per il recupero dell’acqua tintoria, utilizzata per dare colore e poi il finissaggio al tessuto, il cui consumo è dell’ordine di 60 litri di acqua per kg di prodotto finito. L’obiettivo aziendale è stato quello di recuperare l’acqua e arrivare allo scarico zero di prodotti chimici. L’azienda applica da sempre la legge Merli, che indica in maniera dettagliata le sostanze inquinanti, ponendo dei limiti al loro scarico nelle acque e alla loro concentrazione. 

“Questo modo di produrre, dice l’ad dell’azienda, Silvano Storti, ci consente di avere vantaggi ambientali, economici e commerciali. L’impianto ha dei costi di gestione, ma ad esempio, attraverso il recupero dell’acqua calda si possono risparmiare fino a 300mila euro, quindi la somma di diverse pratiche virtuose poi ripaga a diversi livelli”.

Il pascolo per il sequestro della CO2

Enea sta lavorando sul sistema della produzione primaria di origine animale collegata ai pascoli, legati ad aree spesso a rischio, con l’intento di mettere in evidenza che esiste un sistema della lana, di cui bisogna analizzare tutte le componenti, tra cui la parte antropica. L’idea sottesa al progetto di Enea è di trovare degli indici che permettano di mettere in equilibrio questo sistema. Il pascolo è un ottimo metodo di sequestro della CO2, ritenuto ancor migliore delle foreste, poiché qui il carbonio viene sequestrato nel suolo da cui è difficile toglierlo.

C’è una differenza tra pascoli migliorati e naturali: i primi hanno una capacità maggiormente sviluppata di catturare il carbonio rispetto ai secondi. Resta un sistema che va approfondito: attraverso questa ricerca Enea vuole individuare degli indici di sostenibilità degli animali, che sostanzialmente diventano dei bio-indicatori.

Marco Antonini, ricercatore Enea del laboratorio bioprodotti e bioprocessi, ha detto quanto sarebbe utile creare un hub intorno al pascolo per recuperare lo scarto, grosso problema del prodotto lana, e costituire dei centri di raccolta che potrebbero essere un servizio molto utile anche per gli allevatori, che spesso non capiscono dove debba andare il loro prodotto e il valore stesso della lana. 

Misurare la circolarità

”Una necessità, oramai imprescindibile è quella di misurare la sostenibilità e la circolarità, perché spesso viene solo annunciata”. Così interviene sul tema certificazioni, Stefano Sibilio, vicedirettore generale processi e regolazione Uni, che continua: La definizione degli standard deve essere uniforme e consensuale per tutti gli stakeholder, è una sorta di autoregolamentazione del mercato che costituisce un driver importante per l’innovazione. A inizio 2022, presenteremo nuovi standard e nuove norme per standard nazionali e internazionali. Ne esistono tanti che definiscono le norme ambientali, ma si sta andando sempre più nell’ottica anche di controllo e validazione dei claim che vengono dichiarati sui propri prodotti. Il mondo degli standard è in continua evoluzione e stiamo trattando i temi della responsabilità sociale, del diffondere cultura e conoscenza e innalzare l’asticella verso standard sempre più sostenibili”, conclude.

Il livello di maturità del settore moda

“Il livello di maturità del settore moda ha raggiunto oggi una quota importante”, afferma la presidente di Blumine, Aurora Magni, “che si registra anche nei bilanci di sostenibilità, dove si punta a valutare l’impatto ambientale del sistema impresa. Ovviamente in filiere globali molto ramificate è difficile fare un controllo puntuale. I salti di qualità sono tangibili, la filiera fa la sua parte e le tecnologie digitali ci possono aiutare perché si può simulare, anziché produrre, e questo ci aiuterà un pezzetto alla volta”.

Concorda il presidente della commissione tecnica tessile di Uni, Pietro Pin, che però conclude ricordando che “ancora non esiste una norma su cosa è fatto bene e cosa è fatto male e si fa confusione ad esempio, tra cotone biologico e un diffuso marchio, provocando così disorientamento sui termini e su cosa sono realmente i materiali”. Lavoro fondamentale per una corretta e trasparente informazione che allontani l’ombra del greenwashing.

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Professionista delle Relazioni Esterne, Comunicazione e Ufficio Stampa, si occupa di energia e sostenibilità con un occhio di riguardo alla moda sostenibile e ai progetti energetici di cooperazione allo sviluppo. Possiede una solida conoscenza del mondo consumerista a tutto tondo, del quale si è occupata negli ultimi anni.