L’imprenditoria artigianale italiana ha diversi fiori all’occhiello, taluni possono anche vantare un’attività a conduzione familiare che va avanti da 90 anni, come nel caso della conceria Pietro Presot, nata il 1° marzo 1932 a Porcia (Pordenone), diventando così una delle più antiche a livello italiano ed europeo.

Ma a parte la longevità, ciò che caratterizza l’azienda, attualmente guidata da Achille Presot insieme a Eugenia e Federico Presot, è la produzione di un cuoio tutto naturale conciato senza l’utilizzo di sostanze chimiche, ma attraverso una miscela di tannini vegetali che conferiscono al cuoio friulano delle caratteristiche uniche, la nota “tinta Presot”.

La conceria infatti segue gli stessi processi degli esordi, di quando nel 1954 ha fornito il cuoio per gli scarponi degli 11 alpinisti della spedizione italiana impegnata nella scalata al K2 e degli oltre 800 portatori sherpa al seguito. Oggi invece, l’azienda fornisce il cuoio da suola alle principali case di alta moda italiane ed estere. 

Per approfondire il processo produttivo sostenibile dell’azienda, Canale Energia intervista Eugenia Presot, quarta generazione alla guida dell’azienda. 

Il grande valore aggiunto della vostra produzione è la totale sostenibilità ambientale del ciclo produttivo, nonostante si parli di un processo, quello della concia, molto impattante dal punto di vista ambientale, sia per il grande consumo di acqua, che per la grande quantità di rifiuti chimici che si generano durante la fase industriale.

In genere è difficile potersi definire sostenibili al 100%, la vostra azienda come riesce a produrre un cuoio completamente naturale? 

Va innanzitutto specificato che la Conceria Presot, azienda che ha di recente celebrato i 90 anni dalla sua fondazione, produce cuoio e non pelle. Lo facciamo impiegando solo tannini di origine vegetale, provenienti da foreste gestite responsabilmente e per questo certificate, acqua per la quale siamo regolarmente concessionari dalla Regione e il tempo necessario a che la soluzione dei tannini attraversi la sezione della pelle, trasformando un prodotto deperibile, come il residuo di lavorazione dell’industria agroalimentare, in cuoio stabile e durevole.

Non usiamo alcuna sostanza chimica di sintesi e quindi nessun metallo pesante, così come nessun’altra sostanza chimica che possa rimanere a livello residuale, né nella pelle lavorata che è diventata cuoio, né nelle acque di scarico. Va infine sottolineato che l’intero processo industriale dalla pelle al cuoio si svolge all’interno della Conceria Presot. Questa è dotata di un depuratore aziendale, nonché di una centrale idroelettrica che fiancheggia il piazzale dell’azienda, nella quale confluisce anche l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico che occupa la falda meridionale del tetto più ampio dello stabilimento, ovvero quello del magazzino.

In cosa consiste il vostro processo vegetale che vanta un cuoio totalmente “no waste”?

Il nostro cuoio è no waste perché il 100% dei residui di lavorazione che si originano durante il ciclo produttivo viene reimpiegato in altri cicli virtuosi realizzati da terzi, per i quali il nostro scarto diventa materia prima secondaria. 

Praticamente è una “circolarizzazione” che si ripete: anche la nostra produzione parte dal residuo di lavorazione di un altro ciclo produttivo, quello agroalimentare. Infatti, ciò che è scarto per l’agroalimentare diventa per noi materia prima secondaria, per giunta nobile. Solo per citare alcuni esempi: il sale di conservazione delle nostre pelli diventa un antigelo che viene distribuito sulle strade durante il periodo invernale, il carniccio viene reimpiegato nell’edilizia, la rasatura vegetale, insieme ai rifili di cuoio, viene destinata al cuoio rigenerato.

Come gestite gli scarichi di conceria che in genere inquinano fortemente?

La nostra posizione geografica ci colloca al di fuori dei tre distretti conciari normativamente identificati quali: Arzignano, Santa Croce sull’Arno e Solofra. Pertanto, il nostro è un sistema produttivo chiuso, che sta in piedi perché è in equilibrio e perché è dotato di tutto ciò che è necessario per garantirne la convivenza con il tessuto urbano nel quale siamo inseriti. 

Per questo siamo dotati di un depuratore proprio, entrato in funzione in ottemperanza a quanto stabilito dalla Legge Merli del 1976. Lo stesso viene sottoposto a verifica quotidianamente nei parametri principali, grazie ad una centralina integrata accessoria al sistema di depurazione e controllato a campione dagli organi preposti. 

La tabella di riferimento delle nostre acque è quella più restrittiva delle acque di superficie, anche se, oramai da diversi anni le nostre acque finiscono nella rete di fognatura comunale e quindi nel depuratore civile.

Da dove derivano i pellami che impiegate, chiedete una qualche certificazione di sostenibilità per il trattamento degli animali?

Le pelli che ritiriamo sono tutte di origine europea. Gli allevamenti rispettano le norme sul welfare animale e sono certificate Ogm free. Dai macelli fino ai collettori e, quindi a noi, ogni fase è tracciata e fa parte della carta di identità delle pelli che arrivano nella Conceria Presot. A ciascuna pelle viene quindi attribuito un codice che tiene conto delle sue caratteristiche prima dell’arrivo in conceria, nonché di tutto ciò che accade durante la sua permanenza in azienda. Alla conclusione del processo produttivo, quello stesso codice viene riportato sul retro di ciascun groppone e consente di ricostruirne in qualsiasi momento la storia.

Da dove arriva l’energia utilizzata dalla conceria?

L’energia utilizzata dalla conceria è per circa il 60% di origine idroelettrica, anche se in questo momento di grande siccità il valore è molto più basso. L’energia viene generata da un salto d’acqua di poco più di 7 metri, documentato sul posto sin dal 1700, quando l’energia prodotta era utilizzata prima da un battiferro e poi da una cartiera.

Dal 2019, all’energia di provenienza idroelettrica si è aggiunta quella da fotovoltaico con i pannelli distribuiti ad occupare la falda meridionale del tetto del magazzino. Il suo contributo è pari ad una percentuale che varia tra il 15 e il 23% del nostro fabbisogno, a seconda della stagione.

Durante il giorno, l’attività produttiva consuma la totalità dell’energia auto-prodotta da fonti rinnovabili, portandoci a richiederne ancora una parte. Durante la notte invece, l’energia non utilizzata viene immessa in rete.

Oltre alla sostenibilità ambientale, vi preme molto anche l’aspetto della sostenibilità sociale: come la attuate, chi sono i vostri lavoratori?

Dal punto di vista delle dimensioni, la nostra azienda è considerata una Pmi che impiega 12 lavoratori di sei nazionalità diverse. Alcuni dei nostri ragazzi hanno trascorsi complicati e provengono da Paesi in guerra. Per molti di loro, la ruralità dell’esperienza di un orto condiviso è stato un po’ come sentirsi a casa. 

Con questo obiettivo, abbiamo destinato una superficie aziendale di oltre 1000 metri quadrati alla costruzione di un orto condiviso, nonché all’allevamento di una ventina di galline ovaiole. Ciascuno coltiva ciò che preferisce, mentre l’azienda sostiene i costi per le attrezzature, le concimazioni e la vivaistica orticola. Io stessa ho uno spazio assegnato dove coltivo i fiori. L’esperienza dell’orto ci ha poi permesso di condurre dei progetti trasversali sulla corretta alimentazione e un sano stile di vita, come strumenti indispensabili nella prevenzione del rischio cardiovascolare. Oppure ancora, il corso per Blsd (Basic life support early defibrillation) sulla rianimazione cardiovascolare, entrambi estesi anche alle famiglie dei lavoratori.

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Professionista delle Relazioni Esterne, Comunicazione e Ufficio Stampa, si occupa di energia e sostenibilità con un occhio di riguardo alla moda sostenibile e ai progetti energetici di cooperazione allo sviluppo. Possiede una solida conoscenza del mondo consumerista a tutto tondo, del quale si è occupata negli ultimi anni.