Rinnovabili, ecco come investire

CeInvestire oggi non è una scelta semplice, ma, per chi sa guardarsi attorno, le opportunità non mancano. Lo stesso settore delle energie rinnovabili rappresenta un comparto in cui è stato possibile realizzare investimenti finanziari. Oggi ci chiediamo se sia ancora possibile investire in questa tipologia di business, ne parliamo con Alberto Longhi PhD, PMP, Partner di MINERVA Capital Partners.

Le rinnovabili oggi rappresentano un’opportunità di investimento?

Il mercato è in crescita e ancora di più lo sarà in futuro. Un privato che decide di investire ha davanti a sé due strade percorribili: con un orizzonte di investimento limitato può realizzare un impianto fotovoltaico residenziale, mentre per investire con volumi e margini maggiori, può rivolgersi a fondi specialistici. I fondi, rispetto ad un investimento privato, presentano il vantaggio delle verifiche tecnica e finanziaria che vengono eseguite prima di approvare gli investimenti.

In base alla sua esperienza, chi investe in fondi come il vostro?

Generalmente i privati, soprattutto tramite altri fondi intermediari.

In quale modo ci si può tutelare da investimenti a rischio?

Investire oggi non è una scelta semplice, ma per chi si sa guardare attorno le opportunità non mancano. È necessario scegliere un mercato in cui il settore sia ancora redditizio. Per far ciò, va studiata l’area geografica presa in esame, le opportunità date dal sistema legislativo e fiscale e la stabilità di questi stessi parametri rispetto ad aspetti come la sicurezza del Paese.

Ad esempio, come Minerva, in quanto fondo medio piccolo, siamo interessati ad investire in progetti con un ritorno atteso sufficientemente alto e in ogni caso superiore al costo del denaro (per noi abbastanza elevato), in modo da garantire un guadagno per i nostri investitori. Secondo questi parametri, ad oggi il Giappone rappresenta un mercato difficile, ma con ritorni interessanti. Stiamo valutando anche zone ancora non frequentate in maniera massiccia da questo business come: il Myanmar, la Cambogia, il Vietnam, il Cile e il Sud America in generale. Mentre nel Nord America stiamo guardando al Messico.

In alcuni casi c’è un rischio geopolitico maggiore, penso alla Cambogia o al Myanmar, ma normalmente si sceglie di agire su aree più a rischio quando i ritorni sono maggiori.

In Europa ritiene che non ci sia più spazio per investire?

In Europa, specialmente in Germania e Italia, potrebbero esserci ancora alcuni investimenti interessanti in quelli che vengono definiti Distressed Assets, cioè nell’acquisizione di impianti abbastanza recenti, già connessi in rete, le cui prestazioni non sono al massimo e così i relativi rendimenti, perché necessitano di attività di manutenzione o di modifiche tecniche. L’investimento in questi casi è acquistare l’impianto, renderlo performante e portarlo ad un livello di redditività più elevato. Questo, ovviamente, è possibile se le sue caratteristiche permettono di fatto un upgrade delle performance.

In seconda battuta c’è un mercato dedicato proprio ad attività di Operation and Maintenance, per cui si lavora mediante la gestione tecnica e amministrativa di un portafoglio di asset operativi.

La gestione del portafoglio di impianti potrebbe aumentare una volta che sarà definitiva l’apertura del mercato energetico europeo?

Potrebbe realizzarsi uno scenario interessante. Il mercato europeo da un punto di vista tecnico sta crescendo, penso ai SEU e allo sviluppo di sistemi di controllo sempre più sofisticati per la gestione di un portafoglio di progetti produttivi, non necessariamente tutti legati alle energie rinnovabili.

In quest’ottica si potrebbe realizzare un nuovo rapporto tra il “Prosumer” e la Rete, penso ad esempio a consorzi tra impianti di privati come è avvenuto in Umbria. Tale evoluzione potrebbe rappresentare un nuovo business?

I consorzi di impianti privati possono rappresentare uno sviluppo a differenza della realizzazione di grossi impianti fotovoltaici che in Italia riteniamo non si verificherà più.

In quest’ottica stiamo guardando al distretto industriale che potrebbe rappresentare una situazione ideale, bisogna però chiarire l’aspetto normativo. Diciamo che l’ideale sarebbe usare il distretto come una microgrid, quindi con una singola connessione in rete in entrata e in uscita ed il resto delle connessioni gestito internamente al circuito che si viene a creare.

È chiaro che una situazione simile comporta alcune attenzioni: bisogna essere certi della stabilità e della sicurezza dell’investimento agendo su più attori consorziati, ad esempio bisogna essere sicuri di poter arginare l’eventuale fallimento di uno di questi.

Nel caso dell’Umbria gli impianti sono su tetti di privati…

In questo caso la differenza c’è: un privato, infatti, fallisce con meno difficoltà, mentre restano da risolvere ancora alcuni problemi della rete. Diciamo che il limite non è tanto la tecnologia, ma l’aggiornamento della rete.

Che regole hanno i fondi, come si può scegliere tra uno e l’altro?

I fondi di investimento, per essere venduti sul mercato, devono tutti soddisfare regole specifiche. Le differenze da prendere in considerazione al momento della scelta sono le seguenti: capire chi sono i gestori e qual è la loro esperienza nel settore, conoscere la trasparenza del fondo nel comunicare i dati relativi alle attività di gestione ed infine i ritorni attesi sugli investimenti (qui va anche valutata la dimensione del team di gestione, in quanto uno snello garantisce costi minori e ritorni più elevati).

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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.