“Abbiamo messo al centro dei lavori della Federazione nazionale ‘Bioeconomia: prodotti e processi innovativi’ l’utilizzo del suolo”. Perché i terreni italiani, spiega a Canale Energia Ezio Veggia, a capo della Federazione e attuale commissario straordinario di Confagricoltura Asti, risentono del “cattivo trattamento” ricevuto negli ultimi cinquant’anni.

I protagonisti del settore si rendono conto che bisogna reinventare il sistema agricolo e riportare sostanza organica al terreno, diminuita soprattutto per l’utilizzo dei concimi di derivazione fossile. Possiamo invertire questo trend ispirandoci a ciò che facevano i nostri nonni, riducendo drasticamente l’impiego di prodotti chimici – purtroppo spesso indispensabili – e sfruttando le nuove tecnologie, ad esempio per l’irrigazione del suolo. L’obiettivo è “tenere occupati” i terreni così che siano sempre verdi e possano essere impiegati per la produzione di cibo e di mangimi, biogas o fertilizzanti naturali. In più, se il terreno è verde c’è fotosintesi, si sottrae CO2 all’atmosfera e si aiuta a contenere gli effetti del cambiamento climatico.

Può spiegarci meglio come pensate di spingere modelli innovativi che coniugano zootecnia, energia e tutela ambientale?

Solo 15 anni fa erano previsti dei contributi per i terreni incolti così da evitare la sovrapproduzione e l’aumento esponenziale dei prezzi. Oggi questo concetto è superato. Con le seconde colture se ottengo un mais di scarsa qualità che non può essere immesso nella catena alimentare posso dirottarlo al settore delle agroenergie. Un’alternativa prevede di sfruttare il terreno per coltivare il sorgo nella stagione estiva e venderlo come mangime. Ancora, il prodotto di bassa qualità che non arriva sulle nostre tavole può essere “digerito” per 60-70 giorni a 45-50°C così da tornare al terreno come fertilizzante con una carica microbica più bassa, ricco di minerali e senza odore. Dimostriamo così che la competizione tra Food ed Energy è un falso mito.

Dove si concentrerà la vostra attività?

Partiamo dall’astigiano ma la nostra attività coinvolge tutta Italia. Contiamo già diverse esperienze che usano la doppia coltura in modo intelligente (primaria per il food e secondaria per il digestato). I dati finora raccolti dimostrano che questo modello di business migliora la qualità del terreno e consentono di accrescere i capi d’allevamento. Confagricoltura punta anche a fondere conoscenze e pratiche che già esistono e supportare gli associati che vogliano intraprendere questo percorso attraverso tavoli nazionali e internazionali. In più lavoriamo con attori di portata mondiale, coinvolgendo il Nord e Sud America, per riuscire a stimolare l’adozione di questa nuova visione che trova tutti d’accordo sulla centralità della produzione anaerobica, anche in una rete di imprese. Se in un raggio di 15 km c’è un digestore vi si possono convogliare tutti gli “scarti” dell’agroalimentare. Si può parlare di bioraffineria.

Questo modello di business è realmente attrattivo per gli imprenditori italiani? Considerando le lacune normative esistenti per la distinzione dei rifiuti dai sottoprodotti…

Le difficoltà normative sono uno dei maggiori punti deboli dello sviluppo di questa visione. Chiediamo da sempre norme chiare e certe soprattutto per riuscire a distinguere il rifiuto dal sottoprodotto. Quest’ultimo oggi ha uno sbocco commerciale che ieri non era prevedibile. Per l’agricoltore questo modello implica un cambio di mentalità: deve cominciare a prendere in seria considerazione di collaborare col vicino e fare rete.

Quanto inciderà sul vostro settore e sul modello che ci ha illustrato l’emanazione del nuovo Decreto FER?

Il Decreto FER è molto importante per lo sviluppo dell’agricoltura. Il settore guarda al futuro e in questo futuro gli impianti di digestione anaerobica sono fondamentali. Dobbiamo trovare il modo di continuare a produrre elettricità senza che, alla fine del periodo di incentivazione, l’impianto chiuda. Inoltre, producendo elettricità da biogas possiamo compensare la produzione intermittente da fotovoltaico ed eolico. Ci sono sicuramente dei risvolti positivi anche per la collettività, anche se alcuni soggetti, come i venditori di concimi, sentono minati i propri interessi economici e si trovano in disaccordo con tale modello. Ma siamo sicuri che il nostro è un percorso virtuoso e dobbiamo trovare il modo per proseguire su questa strada.

Il vostro modello non prevede rifiuti e riflette i principi dell’economia circolare.

L’agricoltura è protagonista dell’economia circolare. Possiamo alimentare i digestori anaerobici con letami, reflui e polline per produrre biometano e per ottenere il digestato, sottoprodotto impiegato come fertilizzante nei campi. Questa materia organica torna al terreno chiudendo il cerchio.

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