Ai satelliti di Copernicus non sfugge la traccia delle vie della plastica nei mari

I modelli di tracciamento, implementati dal Copernicus marine service

Sea 1377712 1920Le informazioni riportate dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn l’acronimo in inglese), sono disarmanti: la plastica è l’inquinante più diffuso nell’ambiente marino e il più dannoso per la salute degli oceani e la nostra sicurezza alimentare. I polimeri sintetici, il termine chimico per definire le materie plastiche, sono i rifiuti solidi più presenti nei nostri mari, tra il 60 e l’80% del totale, di cui solo l’1% galleggia, mentre il restante 99% si trova nel fondo o, addirittura, nel sottosuolo.

Come viaggia la plastica tra le onde

Tramite i modelli di tracciamento, implementati dal Copernicus marine service (Cms), delle microparticelle presenti in mare e studiando le correnti, sia superficiali che verticali, si riesce a stabilire sia quali sono i fiumi che trasportano i flussi più corposi di inquinanti, che il loro tempo di permanenza in acqua.

I dati forniti dal Cms sono utilizzati anche per gli studi dell’Ocean parcels (Probably a really computationally efficient lagrangian simulator): tramite le informazioni ottenute dai modelli tridimensionali di corrente oceanica, si tracciano i percorsi delle microparticelle, dalla partenza nei fiumi fino all’arrivo in mare.

Dalle masse galleggianti alle microplastiche

Conosciamo tutti le masse di rifiuti galleggianti sugli oceani (l’Isola di plastica del Pacifico è la più famigerata); queste sono localizzate e identificabili. Le parti più microscopiche di questi scarti hanno, invece, un effetto deleterio sulla salute umana: si accumulano nella catena alimentare e passano dai pesci sino all’uomo. Non esiste un confine per questi nefasti ospiti, sono presenti in tutte le acque comprese tra i due poli. Arrivando anche nelle nostre case. La rimozione di queste particelle è utile anche per rendere i litorali più appaganti esteticamente, rendendoli appetibili per i turisti.

Ogni anno vengono immesse nei nostri mari tra i 4,8 e i 12,7 milioni di tonnellate di plastica, in buona parte tramite i corsi di acqua dolce. Gli strumenti per rilevare la presenza dei polimeri sintetici sono satellitari per la quota minoritaria in superficie, come abbiamo sottolineato all’inizio, mentre per la quasi totalità sono necessari modelli di studio oceanici, tramite l’analisi delle correnti e delle profondità. Per le rilevazioni “in loco”, raccolte con cadenze temporali determinate, si utilizzano vari strumenti: in Europa, tramite i dati forniti da Emodnet di Dg Mare (ufficio che si occupa delle politiche riferite agli affari marittimi e alla pesca dell’UE), si riescono a delineare le mappe dei rifiuti sui litorali europei.

Il “Mare nostrum” come caso di studio

Il Cmcc (Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici in italiano), ha studiato l’impatto dell’inquinamento da plastica sul Mediterraneo, sfruttando l’impostazione sopra riportata, realizzando un modello di analisi delle correnti e del flusso di onde fornito dal Cms per il periodo compreso tra il 2013 e il 2017. Analizzando le principali traiettorie dei flussi di rifiuti plastici, ha rilevato che i maggiori accumuli di plastiche si ha sulle coste e sui fondali marini. I rifiuti provenienti dalle imbarcazioni permangono sulle superficie fino a ottanta giorni, mentre quello che arriva dai fiumi solo sette. Le aree più infestate sono: il sotto bacino cilico (Turchia), il mare della Catalogna (Spagna), la costa israeliana e il Delta del Po in Italia. Un altro progetto di ricerca, il Sentinel4marine mira al telerilevamento, combinato ad analisi sul luogo, degli scarti in plastica in acqua; i fiumi interessati da questo studio sono il Trave, l’Elba e il Po.

La sfida più difficile

L’attività di ricerca svolta da Copernicus si sta proiettando sempre più a livello globale, sia sulla superficie terrestre che nelle profondità degli oceani. Il ruolo della comunità scientifica in questo scenario è strettamente legato alle informazioni, che devono raggiungere il più ampio bacino di persone: gli studiosi devono rendere il loro lavoro fruibile per vincere questa sfida. Il tempo non aspetta.

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Pubblicista dal 2007, scrive per il Gruppo Italia Energia.