Nel corso del 2017 è stato registrato nelle emissioni convogliate di diossine dell’impianto Arcelor-Mittal “un valore di 1,54ngTE/Nm3 (…), una quantità non più rilevata da oltre un lustro, a dimostrazione che l’impianto è ancora in grado di generare emissioni particolarmente rilevanti”. L’analisi delle deposizioni al suolo di diossina ha dimostrato nel corso degli ultimi due anni “un lieve aumento per tutte le postazioni; nel caso della Masseria Carmine si è registrato un incremento significativo per il periodo giugno-ottobre 2018, che ha riportato la media annuale agli stessi ordini di grandezza pre-2012”. Infine, la rete interna all’impianto Arcelor-Mittal ha mostrato picchi “in particolare per la postazione cokeria”.

I dati ambientali oggi disponibili e riepilogati nel comunicato stampa congiunto di Ispra e Arpa Puglia, datato 8 aprile 2019, confermano la persistente pericolosità ambientale dell’impianto e, di conseguenza, la persistenza di rischio sanitario sia per i lavoratori che per i residenti nelle aree limitrofe. La riferita normalità delle rilevazioni su alcuni inquinanti atmosferici, con l’eccezione dell’ozono, potenzialmente responsabile di specifici incrementi di rischio sanitario, non riduce la pericolosità della situazione. Pur senza considerare le elevate responsabilità del siderurgico in termini di emissione di gas clima-alteranti, dovrebbero essere ricordati la possibile introduzione di inquinanti per vie diverse da quella inalatoria – ingestione e contatto cutaneo – la particolare composizione del particolato emesso dal siderurgico, la riconosciuta inconsistenza scientifica dei limiti di legge utilizzati a livello nazionale ai fini della tutela sanitaria degli esposti e l’esistenza di pericolosi inquinanti emessi ma non normati né monitorati (ad es. PCB, VOCs).

Endometriosi nelle donne e alterazione del QI nei bambini

Si ricordano a questo proposito recenti evidenze prodotte dall’Istituto Superiore di Sanità negli “Studi di biomonitoraggio e tossicità degli inquinanti presenti nel territorio di Taranto” del 2016. Questi hanno dimostrato, in giovani donne tarantine con endometriosi, aumentate concentrazioni di diossine e PCB rispetto al gruppo controllo e un rischio di endometriosi 3-4 volte maggiore nelle donne con le concentrazioni ematiche più alte di queste sostanze.

Lo stesso report evidenziava, in donne tarantine, concentrazioni urinarie di IPA notevolmente più elevate delle donne di Torino e, nel 15% dei bambini presupposti “sani” che vivono nelle aree maggiormente esposte (Tamburi, Paolo VI, Statte), alterazioni più evidenti del quoziente intellettivo, aumento di iperattività, ansia e depressione e disturbi del neuro-sviluppo rispetto a coetanei che risiedono in aree localizzate a maggior distanza dal siderurgico, con un gradiente di QI di circa 10 punti tra i bambini residenti più vicino o più lontano dall’impianto, indipendentemente da fattori di confondimento socio-economici e culturali.

Tutto questo suggerisce l’inopportunità di alimentare l’illusione che le emissioni possano essere innocue e non proporzionali ai livelli produttivi, ignorando che per l’impianto Arcelor-Mittal non esiste un livello produttivo adatto a garantire sia il profitto aziendale che la tutela sanitaria della popolazione esposta.

Mancate bonifiche ambientali

La persistente immissione di inquinanti in un ambiente già pesantemente compromesso aumenta, inoltre, la consistenza del rischio derivante dalle mancate bonifiche ambientali e, di conseguenza, alimenta la persistenza degli eccessi di rischio oncologico e non oncologico, in particolare malattie non comunicabili, già ben documentati da decenni.

Tarantini discriminati

La prosecuzione dell’attività dell’area a caldo del siderurgico rappresenta, inevitabilmente, una misura discriminatoria nei confronti dei tarantini che saranno condannati a non raggiungere mai un livello accettabile di rischio sanitario da insediamenti industriali, almeno confrontabile con quello di altre aree geografiche più fortunate.

Una recente sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo del Gennaio 2019 ha riconosciuto la responsabilità dello Stato italiano nella violazione di diritti umani a Taranto e per i ritardi nell’applicazione di misure di prevenzione primaria. Lo “scenario acciaieria” non è l’unico possibile e ci auguriamo che, anche per rispetto di quella sentenza, sia finalmente tenuto in debito conto che il diritto alla salute deve essere prioritario su qualunque altro diritto, compreso quello della produzione di acciaio, orientando scelte finalizzate alla creazione di alternative di lavoro, di sviluppo imprenditoriale, di riconversione economica e, soprattutto, di tutela sanitaria per questa e per le future generazioni.

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Nato a Bari nel 1965 è specializzato in Medicina Interna nel 1994 presso l'Università di Bari. Oggi è presidente del Comitato scientifico nazionale e internazionale Isde-International society of doctors for environment e vicepresidente Isde per l’Europa. Svolge attività assistenziali in ambito ospedaliero e attività di ricerca in collaborazione con Università italiane ed estere. È autore di numerose pubblicazioni in lingua inglese su riviste internazionali e di pubblicazioni e libri in lingua italiana. Relatore a convegni in ambito nazionale e internazionale e docente a eventi formativi post-laurea.