No alle trivelle. Il manifesto congiunto di Greenpeace e Coordinamento Nazionale Pesca

GpUn no deciso, forte, compatto alla strategia di sfruttamento intensivo delle riserve di idrocarburi offshore in acque nostrane. Lo hanno pronunciato ieri, in conferenza stampa, i vertici di Greenpeace e del Coordinamento Pesca dell’Alleanza delle Cooperative Italiane.

A 48 ore dall’approvazione all’unanimità del Manifesto di Termoli dalla Conferenza delle Regioni, le due associazioni hanno lanciato il Manifesto congiunto che ha come bersaglio la petrolizzazione dei mari italiani – promossa dal governo Monti nel 2012 e accolta da quello attuale – operata principalmente con la tecnologia dell’air gun.

L’economia legata al petrolio, in Italia, vive un momento di stagnazione, di decrescita”, ha sottolineato Paolo Tiozzo, Presidente Federcoopesca. “L’Italia copre il 10% dei consumi di gas e petrolio del Paese, che si aggirano intorno ai 60 milioni di tonnellate complessivi (stando ai dati prodotti dal MISE) – ha proseguito Tiozzo -. Estraendo il massimo possibile nei prossimi 20 anni, quadro utopistico perché è noto come la capacità di estrazione diminuisca nel tempo, la nostra indipendenze aumenterebbe fino al 20%”.

Oltre a non ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dall’estero, Tiozzo ha anche evidenziato come la trivellazione dei mari Adriatico e Ionio e del Canale di Sicilia non sarebbe promettente neanche in termini occupazionali: “Il Presidente della regione Rosario Crocetta ha affermato che con le perforazioni nell’area di Gela si sarebbero venuti a creare 10 mila posti di lavoro. In realtà i posti disponibili saranno 20 e 100 nel resto della Sicilia”.

L’airgun, la tecnica maggiormente adoperata per le prospezioni sismiche in ambiente marino, “rappresenta la tecnologia più efficiente attualmente in circolazione”, ha spiegato Junio Fabrizio Borsani dell’ISPRA, “ma ha degli effetti collaterali sugli animali”. Il segnale prodotto, che va principalmente verso il basso, si espande però anche di lato, impattando sulla comunicazione, sulla vita e sulle aree di nursey e spawning della riproduzione di pesci e cetacei: “Gli animali si spaventano, non si alimentano per settimane, risultano debilitati e disturbati”. Gli studi presentati hanno mostrato una riduzione delle catture per numerose specie ittiche tra il 20 e il 70%. Un modo per attenuarne gli effetti, come avanzato da Borsani, sarebbe quello di “vendere i risultati del survey sismico prodotti da un’azienda a più società, in modo da non ripeterne i risultati”

Altro punto importante è la normativa che, tenendo conto delle peculiarità di ogni mare, dovrebbe offrire delle linee guida per la stesura, da parte del soggetto richiedente, delle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) sui singoli progetti e degli Studi di Impatto Ambientale (SIA). Questi ultimi, infatti, risentono del fenomeno ‘copia e incolla’: “gli studi redatti dai petrolieri non vengono controllati così Alessandro Giannì, Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. Inoltre, la valutazione dei rischi dovrebbe basarsi sui casi di disastro, ma la norma non lo prevede. L’art. 1 del Dlgs 238/2005 ha tolto dalla categoria di impianti a rischio di incidente rilevante le piattaforme petrolifere. Da qui l’origine di situazioni paradossali”.

 Spectrum1  Spectrum2

Le due mappe riguardano l’area del Mare Adriatico concessa a spectrum. La prima richiama la distribuzione delle aree di spawning (rilascio dei gameti) e la seconda dell’area di nursery (accrescimento dei giovanili) di 13 specie ittiche di importanza commerciale (nasello, triglia, sogliola, gamberi…). Le mappe sono state prodotte durante un processo di valutazione  per la posa in mare di pale eoliche. Fonte Greenpeace

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