Il coronavirus tra petrolio e investimenti speculativi

L’incertezza sul futuro dell’economia riporta l’interesse per le vendite allo scoperto sul mercato di petrolio e gas, che manifesta una profonda variabilità

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Il corona virus sta infettando tutto il globo, portando cambiamenti epocali nelle abitudini quotidiane e un deterioramento delle condizioni economiche, almeno nelle borse di questi giorni, su tutti i mercati. A questo si è aggiunto lo scontro politico, dopo quello militare in Siria, sul mercato delle materie prime tra Arabia Saudita e Russia. I fatti sono noti: Mosca ha rifiutato la riduzione della produzione di idrocarburi proposta dall’Opec, causando il tracollo delle quotazioni del barile, per mettere in crisi il regime di Asad. In questo contesto deteriorato, si inserisce il calo registrato dei consumi di carburante, dipendente dalle misure restrittive alla circolazione prese in buona parte del pianeta.

In questo quadro dalle fosche tinte, c’è naturalmente chi ci guadagna. Esatto, sono gli speculatori della finanza.

Vendita allo scoperto, la speculazione sulle contrazioni

I prodotti che stanno sollecitando le avide fauci degli speculatori si chiamano “vendite allo scoperto” (short selling in inglese). Consistono, per spiegarlo in breve, nella vendita di strumenti finanziari non posseduti con successivo riacquisto. Perché l’operazione sia vantaggiosa, gli strumenti devono essere riacquistati a un prezzo inferiore a quello di vendita, così da permettere il guadagno tra il differenziale di valore.

Le parole dell’analista

Ritornando agli effetti sulle vendite allo scoperto, il caso del petrolio è un esempio classico di questa speculazione: l’analista di GlobalData (multinazionale che offre uno spettro di analisi economiche e finanziarie per aiutare le imprese con un’impronta globale nelle loro decisioni) Matthew Farmer, in un rapporto di venerdì 13 marzo, sottolinea: “Immagino che alla fine, nei prossimi giorni, avremo alcuni arretramenti. A meno che alcuni venditori allo scoperto siano in attesa di veder fallire un’azienda, alcune quote sembrano aver raggiunto un crollo tale da non sembrare in grado di recuperare in breve tempo”.

Anche la borsa di Milano risente di questa tempesta

Giovedì 12 marzo 2020 la Consob ha vietato la vendita in short selling per 85 titoli dell’indice meneghino. Il prof. Savona, presidente della Commissione, spiega motivi e tempi del provvedimento: “La precedente decisione della Consob è stata motivata dal fatto che le operazioni allo scoperto erano una parte trascurabile delle contrattazioni totali, perciò la speculazione propriamente definita non aveva un ruolo nella caduta delle quotazioni azionarie. Ieri, invece, nel pomeriggio c’è stata un’accelerazione delle vendite che hanno sfiorato il milione dei contratti, circa il 50% in più del giorno precedente e della media del periodo interessato dalle conseguenze del coronavirus; il valore delle contrattazioni è salito di oltre il 30% rispetto alla media del periodo e di oltre il 50% rispetto al giorno precedente, raggiungendo un importo record di oltre 6 miliardi”.

Le reazioni dei “giganti” a Londra

A seguire, tre esempi di reazione alle turbolenze in atto nel mercato dei capitali a partire dalla borsa della capitale oltremanica. Le aziende che pagano il prezzo più alto della crisi e quelle che massimizzano i ricavi in seguito a questi dissesti:

  1. Il fondo BlackRock, la più grande società di investimenti nel mondo con sede a New York, è esposta sulle vendite allo scoperto per l’1,8% dal 6 marzo scorso, per un valore di circa 13,61 milioni di sterline. L’azienda statunitense ha investito contro l’impresa britannica di servizi per l’industria petrolifera Petrofac, a partire dal 2015. L’a. d. di BlackRock, Larry Fink, aveva dichiarato, a inizio d’anno, che l’attività della società sarebbe stata proiettata ad azioni concrete per ridurre i cambiamenti climatici;
  2. Il fondo pensionistico canadese ha investito sul calo delle azioni di Valaris, la più grande azienda di perforazione offshore a livello globale, operante per le più importanti multinazionali del settore, tra cui: Bp, Aramco, Total. Il fondo potrebbe chiudere la sua posizione entro pochi giorni: le azioni Valaris accusano una perdita del loro valore pari al 47% (valore riferito al 9 marzo scorso);
  3. La posizione sulle vendite allo scoperto dell’hedge fund di Asia research and capital management (Arcm) sono focalizzate sul prossimo fallimento della britannica Premier oil. Con una quota del 16,69%, Arcm detiene la seconda posizione corta e spera in un crollo a breve del valore delle azioni, affermando che la posizione debitoria della Premier oil supera i due miliardi di dollari. Attualmente la situazione è in mano agli avvocati della Premier oil, che stanno cercando di ottenere l’autorizzazione dal tribunale per rendere operativo l’accordo relativo a tre campi di estrazione nel Mare del Nord, che potrebbe riaprire i flussi di finanziamento bancari.

Pechino non soffre solo per l’epidemia

Per chiudere, vediamo la posizione del gigante cinese PetroChina, azienda con un passato glorioso, un tempo tra le più importanti a livello globale. La borsa di Hong Kong non è in grado di affermare quali siano gli attori che stanno puntando sul crollo del gigante di Pechino. Il giornalista economico Tim Phillips spiega così lo scenario che aspetta il colosso degli idrocarburi: “Come andrà a finire questa storia è una questione di quando, non di se. In questo contesto, per qualsiasi investitore a lungo termine, la previsione di crescita strutturale di petrolio e gas è estremamente negativa”.

Le affermazioni che, da parecchio tempo, sono riportate dalle autorità del Celeste impero sulla transizione verso le rinnovabili non fanno che confermare questa funerea previsione.

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Pubblicista dal 2007, scrive per il Gruppo Italia Energia.