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È arrivata ieri 6 ottobre la sentenza di condanna per l’Italia emessa dalla Corte di Giustizia europea. La condanna è stata inflitta per l’inosservanza relativa agli obblighi imposti dalla direttiva europea sulle acque reflue (91/27/Cee) in centinaia di agglomerati e centri urbani.

La sentenza avvalla il ricorso della Commissione europea, risalente al 2014 inoltrato alla stessa Corte di Giustizia, col quale chiedeva di riconoscere l’inadempimento del nostro Paese.

Cosa stabilisce la Corte di Giustizia

La Corte ha stabilito che ”l’Italia, non ha preso le disposizioni necessarie per garantire che siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane 159 agglomerati nel Paese e non ha assicurato che siano sottoposte al trattamento appropriato le acque reflue urbane che confluiscono nelle reti fognarie in altri 461 agglomerati”.

Inoltre, la sentenza puntualizza chele acque reflue non subiscono alcun filtraggio prima dello scarico in altri otto centri urbani quali: Matera e Rionero in Vulture in Basilicata, Trieste-Muggia in Friuli Venezia Giulia, Anagni nel Lazio, Pesaro e Urbino nelle Marche, Dolianova in Sardegna e Venezia in Veneto.

Lo Stato italiano, infine, non ha garantito, nelle aree sensibili del bacino drenante nel Delta del Po e nell’Adriatico, del lago di Varese, del lago di Como e del bacino drenante Golfo di Castellammare, che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso, in tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, sia pari ad almeno il 75% per il fosforo totale e il 75% per l’azoto totale. 

Secono quanto stabilito dalla Corte di giustizia europea, l’Italia ha adottato misure insufficienti in 609 agglomerati urbani per la progettazione e costruzione di impianti di trattamento delle acque reflue urbane. Questi devono garantire prestazioni sufficienti durante tutto l’anno, a prescindere dalla stagionalità.

La reazione del commissario unico per la Depurazione

“La sentenza della Corte di Giustizia europea sulla procedura 2014/2059 non ci lascia purtroppo sorpresi. L’allora ministero dell’Ambiente, oggi della Transizione ecologica, aveva per tempo allargato il campo d’azione della nostra struttura commissariale non solo alle due procedure per cui l’Italia è stata già condannata, ma anche a una parte degli agglomerati compresi negli altri due procedimenti in fase istruttoria, di cui uno oggi arriva allo stadio di condanna”, commenta oggi in una nota stampa il Commissario unico per la depurazione Maurizio Giugni.

“La decisione della Corte”, aggiunge Giugni, “riguarda in questo caso tanti piccoli centri. Con una collocazione geografica a macchia di leopardo senza distinzioni di latitudine. Ben diversa dunque dalla procedura 2004/2034 per cui paghiamo già una sanzione pecuniaria all’Europa, che si rivolge ad agglomerati più grandi, prevalentemente al Sud e in particolare in Sicilia”. Ciò indica, sottolinea, “che la mancanza di adeguate infrastrutture idriche non fa differenze tra i territori  e spesso può coincidere con la difficoltà dei piccoli comuni di far fronte da soli alle complessità tecniche e procedurali che attengono alla realizzazione di queste opere, quota parte del servizio idrico integrato”.

Il commissario unico dichiara che, come già accaduto in passato, preparerà un ricorso con il contributo della Presidenza del Consiglio, del ministero della Transizione ecologica e di quello della Coesione territoriale. Il ricorso proverà a limitare il numero degli agglomerati in infrazione, laddove le singole realtà si siano già messe in regola o lo stiano concretamente per fare attraverso l’avvio dei lavori. “Siamo nella fase di condanna”, conclude Giugni, “ma non ancora all’individuazione della sanzione pecuniaria e al relativo pagamento. C’è però già un costo che stiamo pagando da tempo, ed è quello sull’ambiente e la qualità delle acque dei fiumi e dei mari”.

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