Il potenziale dell’idrogeno verde per la decarbonizzazione delle attività portuali

Un nuovo studio condotto da ricercatori italiani prende in esame il caso del porto di Trieste.

Porto di Trieste
Foto di Renaldo Kodra/Unsplash

Utilizzare l’idrogeno verde, cioè quello prodotto a partire da fonti rinnovabili, come vettore energetico per le operazioni del porto di Trieste sarebbe la scelta ideale. Lo hanno dimostrato due gruppi di ricerca, coordinati dai professori Alberto Bertucco dell’Università di Padova e Maurizio Fermeglia dell’Università di Trieste.

I ricercatori hanno svolto un’indagine di confronto fra diversi metodi di produzione di idrogeno per l’impiego a livello locale, con particolare riferimento alle operazioni di movimentazione di merci e persone, al fine di azzerarne le emissioni equivalenti di CO2 fossile. I risultati dell’analisi, che presenta una metodologia generalizzabile ad altri porti del Mediterraneo, sono stati pubblicati nel mese di giugno sulla rivista Applied Energy.

L’analisi del contesto

“Quello dell’idrogeno è un tema molto caldo nell’ambito della transizione energetica, e negli ultimi anni sono stati pubblicati molti studi a riguardo. Tuttavia, per noi era fondamentale calare lo studio nell’ambito di una specifica applicazione, quella del porto, poiché, come abbiamo capito attraverso le nostre indagini, le condizioni al contorno possono influenzare molto i risultati”, spiega Elena Barbera, ricercatrice in Impianti Chimici presso l’Università di Padova.

Difatti, sebbene l’idrogeno verde sia più vantaggioso rispetto a quello blu o grigio in termini di Energy Return On Energy Invested, i costi di produzione sono influenzati dalla scala dell’impianto. Grazie alla modularità degli elettrolizzatori, l’idrogeno verde si dimostra più adatto a una produzione decentralizzata.

Idrogeno verde per il porto di Trieste
Foto di UniPD e UniTS

L’accoppiata idrogeno-rinnovabili

“Dal nostro studio si può evincere che l’idrogeno andrebbe sfruttato solo per un utilizzo locale, e con funzione di accumulo di quantità di energia in eccesso prodotta da fonti rinnovabili intermittenti”, chiarisce Alberto Bertucco. “Il green hydrogen, per cui sono stati già stanziati ingenti finanziamenti sia a livello nazionale sia europeo, potrebbe svolgere un ruolo nel processo di decarbonizzazione di diversi settori, tra cui anche quello portuale”, aggiunge Maurizio Fermeglia.

Si stima che i porti contribuiscano al 4,7 per cento delle emissioni di CO2 dell’Unione europea: l’idrogeno potrebbe andare progressivamente a sostituire l’alimentazione, oggi principalmente a diesel, di veicoli pesanti quali navi, treni e camion coinvolti nelle attività portuali. Una direzione che l’amministratore delegato di Adriafer, Maurizio Cociancich, sembra intenzionato a seguire.

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L’efficientamento dei processi

Senza dubbio, bisognerà investire nell’efficientamento di alcuni processi. Un esempio? Per quanto riguarda l’analisi LCA (Life Cycle Assessment), in termini di Global Warming Potential (GWP), l’idrogeno green è quello che garantisce le migliori prestazioni. Tuttavia, se per il processo di elettrolisi viene utilizzata energia elettrica dalla rete (proveniente prevalentemente da fonti non rinnovabili), le emissioni risultano addirittura più elevate di quelle dell’idrogeno grigio. L’elettrolisi, infatti, è un processo estremamente energivoro che richiede mediamente 55 kWh/kg di H2.

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