Nasce il fondo Ecbf sulla bioeconomia circolare. Un fondo di capitali di rischio identificato da Comunità europea e Bei come consulente per la parte bioeconomia. Si tratta di 82 milioni di euro raccolti dalla Banca Europea e tre investitori privati: PreZero international gmbH, Corbion NV e Hettich beteinigungen gmbH. L’annuncio è stato ieri nel corso dell’Ifib 2020, Forum internazionale sulle biotecnologie industriali e la bioeconomia.

Non è un caso considerato che l’Italia è seconda in Europa per ricerca e innovazione nel settore e primo come ricchezza di biodiversità e numero di prodotti ad alto valore aggiunto.

“La Bioeconomia circolare, intesa come rigenerazione territoriale e come creazione di interconnessioni tra settori diversi, è uno strumento essenziale delle strategie e politiche europee del green deal per disaccoppiare l’uso di risorse e lo sviluppo attraverso un processo di trasformazione sistemica, trasformativa e multidisciplinare” ha dichiarato Giulia Gregori, componente del consiglio di presidenza di Assobiotec – Federchimica e segretario generale del Cluster spring. “L’Italia ha tutte le carte in regola per diventare un dimostratore e un driver di bioeconomia circolare per l’Europa e per i paesi del Mediterraneo”.

Intervista con Elena Sgaravatti, componente del consiglio di presidenza di Assobiotec-Federchimica

Elena Sgaravatti (Demethra Cereal Docks)bioeconomia circolare
Elena Sgaravatti, Federchimica

Una grande opportunità per il comparto e per il nostro Paese, in cui la bioeconomia rappresenta un settore innovativo e di competitività. Diversi i primati italiani come diversa la capacità e il potenziale del settore che può rappresentare un vero uovo di Colombo, in vista degli obiettivi di sostenibilità europei e con la crisi climatica che ha varcato le porte.

Canale energia ha raggiunto Elena Sgaravatti, componente del consiglio di presidenza di Assobiotec-Federchimica e imprenditrice nel mondo delle biotecnologie vegetali per un commento con lei delle opportunità del settore per il nostro Paese e le nostre risorse.

Parafrasando la Silicon Valley e tutto quello che rappresenta in termini di innovazione, tecnologia e posti di lavoro. Possiamo realizzare una “bioeconomia valley” in Italia? Cosa ce lo sta impedendo?

In effetti in Italia abbiamo diversi punti di forza che potrebbero ulteriormente migliorare la capacità produttiva del nostro Paese in questo settore. Penso ad esempio all’ottima ricerca nazionale, alla presenza di bioraffinerie uniche al mondo per la produzione di biocarburanti avanzati e intermedi chimici da fonti rinnovabili, alla disponibilità di filiere integrate nel territorio per la valorizzazione degli scarti agricoli, dei sottoprodotti dell’industria alimentare e dei rifiuti, solo per citare alcuni asset nazionali.

Ma tutto questo non basta e c’è lo spazio per fare ancora meglio. I possibili interventi che come Assobiotec-Federchimica vediamo strategici e urgenti per uno sviluppo in grado di conciliare crescita economica e sviluppo sostenibile vanno dalla riconversione di siti industriali dismessi in bioraffinerie integrate nel territorio, alla creazione di filiere anche con decreti end of waste, passando per una revisione del quadro normativo per consentire la sperimentazione in campo aperto delle varietà vegetali ottenute mediante biotecnologie sostenibili, fino a un potenziamento del Piano nazionale per le biotecnologie sostenibili in agricoltura e all’emendamento dei punti oscuri e contraddittori della normativa novel food.

In occasione dell’incontro del 17 settembre lei ha detto che è “necessario strutturare e avviare una collaborazione tra pubblico e privato per conciliare sviluppo economico e tutela ambientale” può spiegarci che ruolo immagina per l’uno e per l’altro?

Alleanza, collaborazione, sinergia, confronto tra pubblico e privato sono elementi oggi imprescindibili se si vogliono raggiungere traguardi importanti. La pandemia ce lo ha insegnato in modo chiaro. Ecco perché abbiamo avviato il progetto “Biotech, il futuro migliore”. Un percorso sviluppatosi per oltre quattro mesi, da giugno a novembre che ha visto riunirsi in quattro tavoli di lavoro gli stakeholder del mondo delle biotecnologie –  imprese, start-up, Istituzioni, enti di ricerca, associazioni – con un unico obiettivo:  delineare il futuro del settore biotech e del nostro Paese in modo condiviso. Da questi tavoli è emersa una visione, ma soprattutto si stanno costruendo alcune proposte di policy e piani d’azione concreti per disegnare un piano di rilancio del comparto biotech aggiornato e condiviso. Presenteremo questo piano il prossimo 9 novembre a Roma.

Lo sviluppo sostenibile dovrebbe rappresentare un passaggio culturale, un’evoluzione che diventa intrinseca in ogni aspetto dell’economia e della progettazione umana, la bioeconomia può farci fare questo salto in avanti?

Ce lo auguriamo. Una diffusa cultura anti-scientifica e la mancanza di piani di sviluppo che ragionano sul lungo periodo sono ostacoli non secondari allo sviluppo della bioeconomia. E non è un caso che la comunicazione e il coinvolgimento delle comunità siano pilastri sia della strategia italiana sia di quella europea sulla bioeconomia. Serve insomma, un grande lavoro di “education” per far conoscere all’opinione pubblica, ma anche agli addetti ai lavori, quanto qualsiasi strategia industriale non possa prescindere oggi da innovazione e sostenibilità ambientale.

Nel momento più nero della pandemia del Covid-19 è emerso il ruolo centrale della medicina. Il settore della bioeconomia dovrebbe rappresentare un altro asset centrale, vista la necessità di una conversione sostenibile del sistema produttivo, che numeri ha, anche in termini occupazionali?

Un recente studio di Intesa Sanpaolo, realizzato in collaborazione con Assobiotec-Federchimica e il Cluster spring, ha messo in evidenza che nel 2018 l’insieme delle attività connesse alla bioeconomia in Italia (includendo sia la gestione e il recupero dei rifiuti biocompatibili sia il ciclo dell’acqua) ha generato un output pari a circa 345 miliardi di euro, occupando oltre due milioni di persone. Secondo le stime del Centro studi di Intesa Sanpaolo il valore della produzione della bioeconomia nel 2018 è cresciuto di oltre 7 miliardi rispetto al 2017 (+2,2%), grazie al contributo positivo della maggioranza dei settori considerati e in particolare dei comparti legati alla filiera agro-alimentare.

Il confronto europeo evidenzia come il nostro Paese si posizioni al terzo posto in termini assoluti per valore della produzione, dopo Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi), e prima di Spagna (237 miliardi), Regno Unito (223 miliardi) e Polonia (133 miliardi). Anche per quanto riguarda il numero di occupati nella bioeconomia l’Italia si posiziona terza nel ranking, con poco più di 2 milioni di occupati, dopo la Polonia, che occupa 2,5 milioni addetti (soprattutto nel settore agricolo) e la Germania (2,1 milioni di occupati). In forte sviluppo negli ultimi anni, anche le start-up innovative operative nell’ambito della bioeconomia: l’aggiornamento al febbraio 2020 delle stime basate sul Registro delle start-up innovative attribuisce alla bioeconomia una quota dell’8,7%, pari a 941 dei soggetti innovativi iscritti, con una continua crescita che culmina con una quota vicina al 17% nei primi due mesi del 2020.

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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.