I PFAS si trovano in tutte le regioni italiane

Il convegno di Greenpeace e del M5S: “l’unico modo è smettere di produrli”

Una nuova inchiesta di Greenpeace Italia, basata su dati ISPRA raccolti tra il 2019 e il 2022, ha dimostrato che la contaminazione da PFAS è presente in tutte le regioni italiane in cui sono state effettuate le indagini in fiumi, laghi e acque sotterranee. Nonostante l’ampia diffusione dell’inquinamento, sono ancora pochi o assenti i controlli. In molti casi la reale portata della contaminazione è sconosciuta.

Di questo si è parlato al convegno “PFAS. Stop ai veleni”, organizzato dal Movimento 5 Stelle, con la partecipazione di Greenpeace.

Gli effetti nocivi dei PFAS sono noti ormai da tempo. Queste sostanze chimiche, utilizzate in campo industriale, sono conosciute per la contaminazione ambientale che hanno prodotto nel corso degli anni. E dalla terra e l’acqua sono arrivate nel corpo umano. Le patologie maggiormente riscontrate, la cui causa è attribuita all’esposizione prolungata a queste sostanze, sono il tumore ai reni, ai testicoli, malattie della tiroide, ipertensione in gravidanza e molte altre.

PFAS e politica: la mozione dei M5S spiegata dal deputato Enrico Cappelletti

L’unico modo per risolvere il problema è smettere di produrre PFAS”, ha dichiarato Sergio Costa, Vice Presidente della Camera dei Deputati e membro del Movimento 5 Stelle. “La mozione per vietarne la produzione probabilmente non ce la farà a diventare legge durante questa legislatura, ma noi proponiamo un impegno per quando torneremo al governo”.

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L’analisi di Greenpeace

Secondo quanto riportato da Greenpeace nel report “La contaminazione da PFAS in Italia”, queste sostanze sono state rinvenute in quasi 18mila campioni. “I dati relativi alla presenza di PFAS in Italia confermano un’emergenza diffusa e fuori controllo, che interessa non solo le aree già note, ovvero le provincie del Veneto e la zona dell’alessandrino in Piemonte, ma anche numerose altre zone del Paese – ha dichiarato Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia – Un quadro grave e per di più incompleto a causa della mancanza di uniformità nei controlli a livello nazionale e dell’inefficacia dei monitoraggi in numerose regioni”.

Secondo i dati ISPRA, la percentuale di valori positivi ai PFAS varia in base alle regioni, ma anche a seconda dell’accuratezza delle misurazioni effettuate. In altre parole, più si fanno controlli e più si utilizzano strumenti precisi, più è probabile che venga rilevata la presenza di PFAS. Le regioni con più alta percentuale di analisi positive a queste sostanze sono: Basilicata (31%), Veneto (30%) e Liguria (30%). Anche altre sei regioni, tuttavia, presentano un tasso di positività superiore al 10%, ovvero Lombardia, Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo e Campania.

Greenpeace riporta però che quasi il 70% delle analisi nazionali è stato eseguito in sole quattro regioni del nord Italia: Veneto, Piemonte, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia. Mentre il restante 30% è stato distribuito tra le altre 12 regioni, creando sproporzione in termini numerici e di accuratezza. In Puglia, Sardegna, Molise e Calabria, invece, dal 2017 al 2022 non risulta alcun controllo sulla presenza di PFAS nei corpi idrici.

Voci dal territorio

Mamme No PFAS è un gruppo di genitori del Veneto, che lotta per avere acqua pulita, dal momento che i fiumi e le falde del territorio sono contaminate da queste sostanze. In loro rappresentanza, ha parlato Maria Secco: “La presenza di PFAS nei nostri corpi rappresenta una minaccia concreta. Stiamo compromettendo la capacità dei giovani di costruirsi un futuro, come possiamo fidarci delle istituzioni se non riescono nemmeno a darci acqua pulita? La nostra salute e il nostro futuro sono una vostra responsabilità”.

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Riccardo Iacona al convegno “PFAS. Stop ai veleni”

A parlare anche Riccardo Iacona, che con Presa Diretta ha affrontato più di una volta lo spinoso tema: “Le aziende produttrici hanno sempre saputo dell’inquinamento, inoltre, c’è una grande fatica da parte delle istituzioni ad aprire indagini epidemiologiche. Le bonifiche ambientali sono immense dal punto di vista economico e difficilissime da realizzare. Quello che dovremmo fare è arrivare a una situazione di esposizione zero: queste sostanze non devono entrare nel ciclo della manifattura”.

Il più grosso problema dei PFAS, oltre alla pervasività, è la permanenza. Sara Valsecchi, del CNR-IRSA, ha spiegato che queste sostanze sono praticamente indistruttibili: “I costi dello smaltimento non sono sostenibili, anzi, bruciando i rifiuti negli inceneritori i PFAS ritornano in circolo. Ormai sappiamo che questo tipo di inquinamento è irreversibile, quando questi finiscono nell’ambiente non c’è più niente da fare: l’unica cosa che possiamo fare è prevenire”.

 


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Nata a Roma, laureata in relazioni internazionali e giornalista professionista. Interessata all’ambiente, alla transizione ecologica e al mondo che cambia, sempre con un occhio ai social network.