Il commercio di pinne di squalo, “un business legato all’estinzione”

Più di un milione di europei hanno aderito all’iniziativa Stop Finning per fermarne il commercio. Ne parliamo con il presidente di Sea Shepherd Italia.

  • Grazie all’iniziativa Stop finning – Stop the trade, la Commissione europea dovrà decidere entro luglio se vietare il transito di pinne di squalo nell’Unione.
  • Lo shark finning è infatti responsabile dell’uccisione di milioni di squali, dai quali dipende la salute degli oceani e anche la nostra.
  • Sea Shepherd Italia è in prima linea per fermare il fenomeno: ne parliamo con il presidente Andrea Morello.

Stop Finning, stop al commercio delle pinne di squalo

1.119.996. È il numero di persone che hanno aderito all’iniziativa dei cittadini europei Stop finning – Stop the trade per porre fine al commercio di pinne di squalo nell’UE. Dopo la consegna delle firme alla Commissione europea, il 6 febbraio si è tenuto un incontro con i suoi rappresentanti. Che dovranno prendere una decisione entro l’11 luglio.

“È un voto storico, perché per la prima volta un’iniziativa europea dei cittadini ha portato agli occhi dell’Europa, e del mondo, una pratica terrificante come quella dello shark finning”. È il commento di Andrea Morello, presidente di Sea Shepherd Italia, organizzazione che si occupa di conservazione degli oceani.

Cos’è lo shark finning o “spinnamento” degli squali

Con la pratica dello “spinnamento” gli squali vengono privati delle loro pinne che, sul mercato, valgono una fortuna. In Europa, in base al regolamento “Fins Naturally Attached”, i pescatori non possono portare a terra delle carcasse mutilate. Il regolamento però non è sufficiente a fermare il commercio delle pinne, a prescindere dalla loro provenienza (legale o illegale). Pertanto, sarebbe di vitale importanza vietarne il transito, l’importazione e l’esportazione sull’intero territorio comunitario, ed è proprio questo lo scopo dell’iniziativa.

Quali sono le principali conseguenze del fenomeno

Stando ai dati dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), il numero di squali uccisi ogni anno nel mondo è compreso fra 63 e 273 milioni. “Al di là della mancanza di un dato preciso, è comunque una cifra insostenibile dal punto di vista della biodiversità. Lo squalo è un predatore apicale da cui dipendono tutte le altre specie legate all’ecosistema oceanico, esseri umani compresi. Ricordiamoci che gli oceani ci donano anche l’ossigeno”, spiega Morello.

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Il Mediterraneo è il mare più sovrasfruttato del Pianeta e alcune delle specie di squalo che ospita sono ormai prossime all’estinzione. “Alla fine del secolo scorso nell’Adriatico, fra l’Italia e la Croazia, si registravano numerosi avvistamenti di squali bianchi. Oggi, una ricerca dell’Università La Sapienza di Roma sulla presenza dei predatori dimostra che, in molte aree del Mediterraneo, la popolazione è quasi scomparsa per colpa dell’uomo. Questo ci insegna che lo squalo si può estinguere, cosa che non possiamo assolutamente permettere”. Anche a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, il 37,5 per cento delle specie di squali e razze nel mondo è in grave pericolo.

pinne di squalo
Foto di Alex Rose/Unsplash

Il ruolo dell’Europa nel commercio di pinne

Il giro d’affari che ruota intorno al commercio delle pinne di squalo è del valore di decine di milioni di euro. In Cina, dove sono simbolo di ricchezza e potere, vengono spesso consumate all’interno di una zuppa, ma esistono anche integratori alimentari a base di cartilagine. “È un business legato all’estinzione, perché meno squali ci saranno, più i prezzi aumenteranno”, afferma il presidente di Sea Shepherd Italia. “E anche noi ne siamo responsabili, non solo perché in Europa transitano le pinne di squalo, ma anche perché in Italia consumiamo specie come il palombo”.

L’UE è responsabile di quasi la metà delle esportazioni di pinne a livello globale – si parla di circa 3.500 tonnellate, secondo Marevivo. I Paesi maggiormente coinvolti nel traffico sono Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Francia e Italia che, tra il 2009 e il 2021, è risultata essere il terzo più grande importatore di prodotti di squalo a livello mondiale, con circa 98mila tonnellate di prodotti importati, di cui 1.712 tonnellate di pinne.

Le battaglie di Sea Shepherd contro la pesca illegale

Per combattere questo tragico fenomeno, Sea Shepherd sta lavorando direttamente sul campo, con lo scopo di fermare le attività di pesca illegale. “Abbiamo delle campagne in nove paesi africani, fra cui la Liberia, il Gabon, la Namibia, il Benin, che non hanno le stesse possibilità dell’Europa di difendere le proprie acque territoriali. Negli ultimi tre anni, grazie a queste campagne, sono stati fermati 72 pescherecci che praticavano pesca illegale all’interno di aree marine protette o shark finning. Anche in Italia lavoriamo contro l’uccisione degli squali: una campagna simbolo è Operazione Siso che, l’anno scorso, ha visto la confisca di 224 chilometri di palamiti illegali davanti alle coste della Calabria”, conclude Andrea Morello. Nell’immaginario collettivo, lo squalo è un mostro pericoloso. La “colpa” è anche del cinema. In realtà, questi predatori causano meno morti l’anno dei selfie. E, soprattutto, sono i re dell’oceano. Senza di loro, quel regno non può esistere.

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Nata in provincia di Sondrio, ha studiato a Milano e Londra. Giornalista pubblicista, si occupa di questioni legate alla crisi climatica, all’economia circolare e alla tutela di biodiversità e diritti umani.