Cuore

Cosa succederebbe se ad alimentare una centrale termoelettrica non fossero combustibili come gas, olio o carbone ma un processo basato su fonti rinnovabili? A rispondere è stata l’Università della Calabria che, da un lato, ha preso in considerazione la tecnologia solare termodinamica con collettori parabolici a concentrazione e, dall’altro, il ciclo termodinamico “Joule- Brayton” di tipo aperto generalmente alla base delle turbine a gas.

Due processi di generazione energetica consolidati che sono stati codificati nel brevetto italianoImpianto solare termodinamico a collettori parabolici lineari utilizzante l’aria atmosferica come fluido termovettore” grazie al lavoro combinato tra il gruppo di ricerca e il personale specializzato dell’Ufficio di Trasferimento tecnologico dell’Università della Calabria.

LA TECNOLOGIA

La nostra innovazione sta nell’impiegare aria atmosferica come fluido termovettore per un sistema solare termodinamico che alimenta un ciclo Joule- Brayton, che in questo modo non ha bisogno di combustibili fossili.” A spiegarlo a Canale Energia è il Professor Vittorio Ferraro dell’Ateneo calabrese, responsabile della ricerca che ha portato a questo brevetto insieme al Prof. Valerio Marinelli.

A essere nuovo, dunque, è il modo di accoppiare i due sistemi. “L’aria atmosferica opportunamente disidratata e compressa è inviata all’interno di collettori parabolici lineari che ne innalzano la temperatura. Successivamente il fluido termovettore si espande all’interno di una turbina multistadio che genera elettricità, mentre una parte del calore viene recuperata. Inoltre, in assenza di sole, è possibile utilizzare combustibile tradizionale in modo da creare una centrale ibrida per raggiungere un numero annuo di ore di lavoro equiparabile a quello delle centrali termoelettriche”.

Generalmente i collettori parabolici solari termodinamici utilizzano olio sintetico o sali fusi e sono basati su un ciclo di Rankine a vapore acqueo. L’uso dell’aria atmosferica come fluido termovettore, dunque, presenta vantaggi in termini di sicurezza e costo. L’aria, inoltre, può anche essere impiegata per l’inter-refrigerazione del compressore, evitando l’uso di acqua. Ciò è particolarmente vantaggioso quando si installano queste centrali in regioni desertiche prive di risorse idriche. In questo modo gli autori del brevetto garantiscono minori costi di generazione elettrica e una maggiore compatibilità ambientale delle tecnologie.

Il futuro della ricerca

Dopo la chiusura del lavoro di ricerca, durato circa due anni, sono serviti all’Ufficio italiano Brevetti e Marchi quattro anni per concedere il brevetto per modello di utilità all’Università. Ora c’è bisogno di “un approfondimento facendo dei test”, prosegue Ferraro. Lo sviluppo necessario, in particolare, consiste “nella modifica dei tradizionali turbocompressori per la quale serve un investimento economico da parte di un partner”.

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Nato ad Avellino, giornalista professionista, laurea in comunicazione di massa e master in giornalismo conseguito all’Università di Torino. È direttore della rivista CH4 edita da Gruppo Italia Energia. In precedenza ha lavorato nel settore delle relazioni istituzionali e ufficio stampa, oltre ad aver collaborato con diversi media nazionali e locali sia nel campo dell’energia sia della politica. È vincitore di numerosi premi giornalistici nazionali e internazionali.