Acqua potabile sì, acqua potabile no?

AcquepotabiliLa depurazione delle acque reflue è l’anello debole del ciclo integrato. Almeno secondo Giovanni Carrosio, Università di Trieste, che ci parla di come, sul tema, convergano molteplici interessi e contraddizioni.

Qual è lo status attuale in Italia?

In Italia e in Europa sono nate numerose diatribe attorno al tema della depurazione delle acque. I cittadini si pongono in maniera conflittuale nei confronti, soprattutto, del filtraggio meccanico che ha come effetto secondario la produzione dei fanghi di depurazione. Talvolta mentre i comitati locali propongono la fitodepurazione, le utility scelgono la meccanica tradizionale, ambito in cui hanno maturato uno specifico know how e consolidato rapporti con produttori e fornitori. Inoltre, in Italia non esiste un censimento nazionale dei fanghi: mentre la Lombardia e l’Emilia Romagna hanno provato a quantificarli, nel Paese si comincia a parlare dell’inquinamento crescente legato alla diffusione dei depuratori meccanici. Nonostante ci sia una direttiva comunitaria che normi la depurare delle acque, molti comuni sono in infrazione. In aggiunta la sovraproduzione di fanghi rispetto alle capacità di smaltimento degli inceneritori è colpevole di creare un giro che spesso cade nell’illecito.

Può farmi un esempio di diatriba locale?

Nel bresciano l’utility vuole realizzare un sistema di depurazione meccanica centralizzato che possa ricevere le acque reflue di più comuni e incanalarli in un’unica condotta. Il circolo locale di Legambiente e i ricercatori dell’Università di Padova hanno svolto alcuni test e fatto una controproposta: per risparmiare quei milioni di euro destinati alla costruzione di un impianto altamente energivoro (soprattutto dal punto di vista manutentivo) occorrerebbe trasformare le vecchie strutture comunali e realizzare un sistema di fitodepurazione. L’esempio mostra la forte contrapposizione tra due modelli distinti: da un lato la produzione meccanica che produce fanghi, dall’altro il sistema di fitodepurazione che, se usato, non produce nessuna economia e non offre posti di lavoro. In Italia, a differenza degli altri paesi comunitari, continua ad esserci una cultura molto centralizzata del trattamento delle acque.

Cultura polarizzata ma anche disinformazione, soprattutto tra coloro che non sono toccati dalla costruzione di nuovi impianti. Perchè?

La depurazione delle acque è un argomento di nicchia: mentre sui rifiuti i comuni hanno promosso campagne d’informazione, sul tema dei fanghi non si sono occupati di coinvolgere i cittadini. Da parte politica c’è un investimento minore, soprattutto a livello culturale: quando affronto il tema della depurazione delle acque non posso fermarmi a parlare dell’erogazione del rubinetto, ma devo percorrere l’intera filiera suggerendo alle famiglie, innanzitutto, di sostituire i detersivi chimici con gli equivalenti biologici. Inoltre occorre pensare che i cittadini possono vedere coi propri occhi quanto la cattiva gestione dei rifiuti danneggi la propria vita, con l’acqua questo non avviene.

In cosa consiste la fitodepurazione? Potrebbe dare una scossa al sistema?

Il termine fitodepurazione, in realtà ombrello che raccoglie tanti modelli, indica un sistema di filtraggio in cui le acque reflue convergono in un bacino dove dimorano piante come la canna palustre e il miscanto e in cui prolifera una grande biodiversità. Questo sistema, che consuma poca energia e minimizza il problema dei fanghi di depurazione, non consente però di filtrare le acque industriali, con il maggior contenuto di materiali pesanti (come piombo e mercurio), ed è applicabile solo a piccole realtà. Una possibile soluzione, di più ampio spettro, sarebbe quella di integrare la depurazione meccanica con quella fito, creando un sistema misto.

Efficienza energetica: la volontà futura (e dichiarata) delle istituzioni è proprio quella di investire sul trattamento delle acque reflue. Secondo lei quali sono le potenzialità del settore?

Ottimizzare la gestione della rete di acque reflue favorirà sicuramente un miglioramento in termini di gestione dei consumi, ma non credo sarà determinante per il risparmio energetico del sistema urbano. Questo per un problema di fondo: in Italia usiamo l’acqua potabile praticamente per tutto, anche per gli scarichi domestici, in Germania, invece, viene distinta da quella non potabilizzata. Inoltre, nel Paese abbiamo registrato percentuali elevate di dispersione nelle condotte d’acqua. La compartimentazione delle conoscenze, la settorialità della politica e la mancanza di figure di riferimento non consentono di adottare un approccio olistico per questo settore altamente energivoro.

 

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