Esternalità: “Una fiscalità ambientale più equa è possibile”

studisettore2942 imgL’Italia ha fatto il primo passo in avanti verso la tanto attesa riforma fiscale. Con la legge 23/2014 il parlamento ha delegato il Governo a emanare (entro 10 mesi dall’entrata in della legge) una serie di decreti di modifica dell’attuale sistema. In questo contesto, il legislatore ha dedicato alla fiscalità ambientale ed energetica un articolo (il 15) ma la strada da fare sembra ancora lunga. Da dove si parte per costruire un fisco equo che non sia una zavorra per l’industria ma una leva per il rilancio della crescita? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Molocchi e Donatello Aspromonte di Ecba Project.

“Il punto di partenza è certo: il carico fiscale è arrivato in Italia a livelli insostenibili per tutti. Il quadro è aggravato da imposte che vincolano più di altre la possibilità di uscire dalla crisi strutturale in cui ci troviamo, che ha destabilizzato le condizioni di benessere nel nostro Paese. Ad esempio, un’imposta incisiva come l’Irap ci appare particolarmente dannosa in quanto dal calcolo della base imponibile risultano indeducibili i costi del lavoro, che – ricordiamolo sempre – rappresenta il principale fattore produttivo per la produzione e la crescita economica. Evidentemente, una situazione di questo tipo contribuisce a scoraggiare le imprese nella fase di pianificazione di nuove assunzioni di personale. Inoltre, per risollevare le sorti economiche del Paese risulta indispensabile incrementare il reddito spendibile da parte delle famiglie, attraverso un taglio del cuneo fiscale, affinché le maggiori risorse si riversino in consumi, dai quali dipendono gli investimenti da parte delle attività produttive, innescando un circolo virtuoso reddito-consumi-investimenti”.

“La principale domanda alla quale la legge delega fiscale intende rispondere è quindi: dove trovare le risorse pubbliche per ridurre il carico fiscale che oggi grava sui fattori produttivi? Come liberare le risorse necessarie per gli investimenti delle imprese e per i consumi delle famiglie e risalire la china di una felicità perduta? Una delle principali risposte a questa domanda la troviamo all’articolo 15 della legge delega: entro un anno il Governo dovrà adottare, con opportuni decreti legislativi, nuove forme tributarie finalizzate a orientare il mercato verso ‘modi di consumo e produzione sostenibili’, e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica, anche in funzione del contenuto di “carbonio” e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo”.

“Da più parti del panorama politico e associativo si richiama l’elevato potenziale della fiscalità ambientale nell’aprire nuovi spazi per la crescita a invarianza di gettito. Concordiamo con questa strategia, ma per attuarla occorre metter mano alle numerose incoerenze che contraddistinguono la cosiddetta fiscalità ambientale. Non possiamo nasconderci dietro a un dito: lo Stato è arrivato a conoscere abbastanza bene quanto guadagnano imprese e famiglie, ma sa ancora poco quanto inquinino! Il fisco e il sistema di governo dell’ambiente devono ancora dimostrare di voler davvero metter mano alle attuali opacità e sovrapposizioni che caratterizzano quella che oggi viene denominata la fiscalità “ambientale”. Il punto di partenza di una riforma della fiscalità ambientale dovrebbe essere una chiara rappresentazione degli impatti ambientali associati alle basi imponibili delle attuali imposte ambientali e delle categorie di soggetti sui cui esse gravano. Chi paga oggi le imposte ambientali? E’ giusto che paghi? Quanto dovrebbe pagare? La risposta alla prima di queste domande è stata recentemente data dall’Istat, con la pubblicazione nel novembre 2013 di una statistica
innovativa sulla fiscalità ambientale, in cui il gettito è evidenziato non tanto per tipo di imposta, quanto per settori economici che corrispondono tale gettito. Uno dei maggiori problemi della fiscalità ambientale è proprio questo: siccome grava sui prodotti energetici o sui veicoli, in precedenza non era chiara l’incidenza complessiva sui soggetti colpiti dalla tassazione ordinaria, diretta e indiretta, ovvero le imprese e le famiglie. La risposta alle altre due domande richiede a nostro parere una concreta e trasparente attuazione del principio chi inquina paga, secondo il quale l’imposta ambientale deve colpire il soggetto che inquina e la base imponibile dell’imposta deve basarsi su un impatto ambientale ‘provato e
specifico’”, come vuole la definizione Eurostat di imposta ambientale. La riforma della fiscalità ambientale non può che partire dall’equità e dalla
trasparenza, detto concretamente: dagli studi e dalla comunicazione: vogliamo sapere perchè paghiamo e possibilmente lo vogliamo sapere alla
pompa di benzina, dal concessionario auto e al vertice aziendale, cioè il più vicino possibile a dove si effettuano le scelte di cambiamento
associate al pagamento dell’imposta”.

In questo quadro si inserisce l’indagine di Ecba Project (società di ricerca e consulenza specializzata nella valutazione delle esternalità ambientali e nell’analisi costi benefici di utilità collettiva), indagine che ha stimato in maniera sistematica i costi esterni delle emissioni in atmosfera dei settori di attività economica. Quali sono stati i principali risultati?

“Dalla nostra modellistica, basata sulle metodologie comunitarie di valutazione dei costi esterni impiegate nell’analisi costi benefici dei progetti d’investimento, si possono ottenere informazioni preziose a supporto delle riforma della fiscalità ambientale. Innanzitutto l’indagine arriva ad una stima totale dei costi esterni associati alle emissioni in atmosfera di tuttii settori di attività, famiglie incluse, che ammonta nel 2012 a 48,3 miliardi di euro, pari al 3,1% del PIL. Dato che in base all’ultima indagine dell’Istat il gettito dell’attuale regime di imposte ambientali, includendo le imposte sull’energia, è stato di 45,5 miliardi di euro nel 2012, il grado di copertura delle esternalità ambientali da parte del fisco è apparentemente
molto elevato, pari al 94%. In realtà, l’analisi di dettaglio evidenzia forti iniquità fra settori e, soprattutto, l’approccio di valutazione dei costi esterni permette di evidenziare le incoerenze e la scarsità di relazioni fra l’attuale regime di fiscalità e i costi esterni derivanti dai consumi energetici e dalle altre attività inquinanti dei settori economici. Ad esempio, il settore delle Famiglie paga imposte ambientali in misura significativamente maggiore rispetto alle esternalità ambientali generate (24,8 miliardi di gettito contro i 15,1 miliardi di esternalità prodotte), e così anche il macro-comparto dei Servizi (14,5 miliardi di imposte contro i 9,3 miliardi di costi esterni generati). Di contro, il comparto dell’Industria paga imposte ambientali che corrispondono ad appena il 41% dei rispettivi costi esterni (5,2 miliardi di gettito nel 2012 contro i 12,8 miliardi di costi esterni generati). Ad un ulteriore livello di disaggregazione, emerge come quasi tutti i settori dei Servizi (ivi inclusi il Commercio e i Trasporti e logistica, che hanno esternalità elevate), sono gravati da un’imposizione ambientale superiore ai costi esterni generati, mentre l’industria manifatturiera si trova nella situazione opposta: a fronte di costi esterni prodotti pari a circa 7,1 miliardi, corrisponde un gettito di 3 miliardi (42% dei costi esterni). Il settore dell’Energia elettrica e Gas presenta un gettito appena superiore a 1 miliardo di euro a fronte di 3,7 miliardi di costi esterni del settore; va tuttavia evidenziato che in questo caso il fisco applica il principio l’utente paga, facendo pagare l’imposta sull’elettricità (gettito di 3,4 miliardi) agli utenti finali che, diversamente dai produttori, non hanno alcuna capacità di controllo sulle scelte tecnologiche e gestionali riguardanti le modalità di produzione dell’energia elettrica”.

“Un’altra opportunità offerta dall’indagine sui costi esterni delle emissioni dei settori dell’economia italiana riguarda la possibilità di verticalizzare l’analisi sul potenziale gettito di imposte ambientali gravanti su specifici inquinanti, quali ad esempio la carbon tax e la tassa sulle emissioni di SO2 e NOx, entrambe incluse nella delega di riforma della fiscalità ambientale. In base alle nostre stime, il gettito complessivo di una tassa sulla CO2 (includendo anche, in termini equivalenti, il metano e il protossido di azoto) potrebbe raggiungere in Italia i 13 miliardi di euro, di cui 2,9 miliardi a carico delle famiglie e 10,1 a carico delle imprese. L’estensione della tassa sulle emissioni di SO2 e NOx a tutti i settori che sono causa di queste emissioni, potrebbe portare ad un incremento del gettito dagli attuali 14 milioni di euro, corrisposti per il momento dalle sole centrali elettriche, a ben 10,1 miliardi di euro, con un incremento di gettito di 700 volte. In quest’ipotesi, il gettito per il settore dell’energia elettrica e gas dovrebbe aumentare dagli attuali 14 a 645 milioni di euro. La tassa ambientale col potenziale maggiore è una possibile imposta sulle polveri sottili (PM2,5) che, in applicazione del principio chi inquina paga, potrebbe ambire ad un gettito complessivo da tutti i settori di ben 17 miliardi di costi esterni“.

Parliamo, quindi, di equità fiscale: una chimera o un obiettivo raggiungibile?

“Il disallineamento che esiste tra tasse ambientali pagate e costi esterni generati da uno specifico comparto/settore è dovuto sostanzialmente al
fatto che che il gettito dell’attuale regime di fiscalità ambientale si basa quasi esclusivamente su basi imponibili che rappresentano in maniera
approssimativa quello che dovrebbe essere invece – per ovvie ragioni di equità, di efficienza e di sostenibilità dello sviluppo – un impatto ambientale negativo provato e specifico. La nostra indagine dimostra non solo che un fisco ambientale più equo è possibile, ma anche le potenzialità di gettito della riforma fiscale in chiave ambientale sono notevoli. Un sistema di governo dell’ambiente organizzato per realizzare un monitoraggio sistematico e periodico dei costi esterni delle attività economiche, con un approccio integrato con la contabilità economica e fiscale nazionale, è la condizione essenziale per spostare l’imposizione fiscale che oggi grava sui fattori produttivi – in particolare sul lavoro – verso i fattori di inquinamento, rilanciando la crescita e l’occupazione nella direzione di uno sviluppo sostenibile e di una maggiore equità sociale”.

 

Leggi l’approfondimento sul nuovo numero di e7.

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Giornalista specializzata nel settore energia, attualmente all'ARERA