Entro il 2017 +40% di rinnovabile nelle bioplastiche Mater-Bi di Novamont

Albero

Entro il 2017 Novamont, azienda specializzata nel settore delle bioplastiche e dei biochemicals, innalzerà, su base volontaria, il contenuto minimo di rinnovabile di tutta la gamma della bioplastica MATER – BI superando la percentuale del 40% e arrivando ad offrire prodotti ad alta rinnovabilità fino al 100% in applicazioni specifiche. Una scelta che si inserisce in una strategia aziendale che ha visto investimenti industriali e in R&S pari a oltre 700 milioni di euro, grazie ai quali è stato possibile rigenerare siti altrimenti deindustrializzati in Europa. 

Il percorso intrapreso da Novamont, sottolinea l’azienda, anticipa gli obiettivi di Italia e Francia in materia di contenuto rinnovabile per alcune applicazioni (e.g. sacchi frutta e verdura),  per cui è prevista una soglia minima del 40% a partire dal 2018. Insieme ad Andrea Di Stefano, responsabile progetti speciali di Novamont, abbiamo approfondito alcuni aspetti legati alla strategia green dell’azienda. 

 La rigenerazione dei siti industriali 

La scelta di portare ad una soglia minima il contenuto  rinnovabile di tutte le vostre bioplastiche ha richiesto ingenti investimenti in ricerca e sviluppo e una rigenerazione di siti altrimenti deindustrializzati in Europa. Può fornirci qualche dettaglio in più? Dove e come si è svolto il processo di rigenerazione dei siti industriali, può citare qualche esempio specifico?

Dal punto di vista complessivo possiamo annoverare oltre 700 milioni di euro di investimenti in tecnologie e impianti industriali che sono stati quasi totalmente autofinanziati da Novamont negli ultimi 20 anni. Ciò ha permesso di mettere in atto una strategia industriale legata allo sviluppo di tecnologie volte a incrementare la performance dei prodotti e a ridurre l’impatto ambientale. Siamo passati dalla prima tecnologia, quella della complessazione dell’amido, allo sviluppo dei monomeri, al poliestere biodegradabile e poi alla realizzazione di una vera e propria filiera biochemicals, che stiamo tuttora sviluppando ulteriormente. Non riteniamo quindi di essere al termine di questo percorso, ma anzi possiamo dire che le scelte fatte finora costituiscono solo un tassello di un quadro più ampio. Ci sono ancora grandissime potenziaiità da sviluppare sia in termini di ricerca, sia in termini di appllicazioni finali.

Ma passiamo alla questione della rigenerazione dei siti industriali. L’esempio forse più eclatante è quello di Bottrighe (frazione del comune di Adria, situato in provincia di Rovigo). Si tratta di un impianto che era chiuso da parecchi anni, era originariamente un impianto di fermentazione per la produzione della lisina, un prodotto molto utilizzato nel settore alimentare. Quest’impianto era stato fermato dalla multinazionale giapponese che ne aveva la proprietà e i lavoratori erano in cassa integrazione da parecchio tempo. Noi abbiamo considerato questa struttura potenzialmente interessante per sviluppare il nostro primo impianto industriale al mondo per la produzione di biobutandiolo – un intermedio molto importante nel settore chimico – e quindi abbiamo trattato l’acquisizione dalla vecchia proprietà. Abbiamo poi effettuato le attività prima di bonifica e poi di ottimizzazione del sito. L’investimento industriale ha permesso in un tempi molto rapidi di riconsegnare al territorio un impianto fortemente innovativo che impiega più di 70 persone, personale con qualifiche molto elevate. Siamo andati a realizzare un impianto di biotecnologia applicata a materie prime rinnovabili, si tratta di idrolisi dello zucchero che proviene da un impianto per la lavorazione dell’amido situato lì vicino. 

Noi utilizziamo lo zucchero che proviene da quest’impianto, uno zucchero meno pregiato, e lo sottoponiamo a un processo di fermentazione con dei microorganismi frutto dell’attività di ricerca tra Novamont e la startup americana Genomatica, specializzata nell’ingegnerizzazione di microorganismi per il comparto fermentativo.  Il butandiolo viene poi usato per la realizzazione del nostro polimero biodegradabile Mater – Bi. Quest’investimento è uno dei tasselli che ci ha permesso di portare il livello minimo di contenuto di materia prima rinnovabile nei nostri prodotti al 40%. C’è una gamma di applicazione molto ampia e quindi a seconda dei casi siamo in grado di arrivare fino alla soglia del 100% di materia prima rinnovabile. 

Da dove è partito l’input per portare avanti quest’iniziativa?

La nostra non è una operazione di marketing. C’è una ragione ben precisa se portiamo avanti questo percorso: sappiamo che sviluppando questa filiera, siamo in grado di migliorare ulteriormente le prestazioni ambientali e ridurre in modo considerevole l’impatto della produzione di gas climalteranti legati al nostro processo. Sappiamo che il target strategico di tutti i settori produttivi è quello della decarbonizzazione entro il 2050 e noi crediamo di avere le leve e la strategia giusta per avere una filiera biochimica sempre più legata al territorio e in grado di rilanciare un pezzo della vecchia chimica di base italiana. 

 L’importanza di promuovere filiere circolari

Novamont anticipa, in questo modo, gli obiettivi di Italia e Francia in materia di contenuto rinnovabile per alcune applicazione (e.g.  sacchi frutta e verdura), per cui è prevista una soglia minima del 40% a partire dal 2018. Quanto è importante favorire lo sviluppo di filiere circolari in questo settore specifico? A livello quantitativo (CO2 risparmiata) quale impatto positivo si otterrà?

La promozione di filiere circolari ha un grande valore, perché può essere in effetti uno strumento per permettere al sistema Paese di mantenere una sorta di leadership nel campo della bioeconomia. Noi sappiamo che facendo questo sforzo stiamo contribuendo, insieme ad altri, a delineare una strategia per la bioeconomia italiana che integra i comparti agricoli, l’impiego di aree marginali o non utilizzabili per la produzione dell’agricoltura di qualità, l’ottimizzazione degli scarti e il raggiungimento di risultati rilevanti nella riduzione degli impatti ambientali. Noi stimiamo che la nostra scelta, per il solo comparto dei film flessibili (sacchi shopper, sacchi frutta e verdura) permetta di tagliare 150 mila tonnellate di CO2 equivalenti su base annuale.  

In generale l’elemento che vorrei sottolineare è la visione prospettica che Novamont sta adottando. Noi crediamo di offrire dal punto di vista industriale un approccio concreto che guarda lontano. Proponiamo ai nostri clienti e agli stakeholder istituzionali una visione declinata nel lungo periodo, un approccio rilevante in termini di aumento di competitività del sistema Paese.

 L’etichetta e-Label!

Il Mater Bi ha inoltre ottenuto la multietichetta ambientale e-Label!, quali parametri sono stati presi in considerazione per l’ottenimento della certificazione? 

Il motivo per cui abbiamo sviluppato insieme al Kyoto Club questo modello di certificazione è perché crediamo che, sia in ambito B2B sia nel consumatore finale, stia crescendo la domanda di chiarezza sulle prestazioni ambientali. Per allontanarci il più possibile da slogan abbiamo sviluppato questa multietichetta che ha il pregio di definire, per l’applicazione che si prende in considerazione, i principali parametri rilevanti a livello ambientale. Parliamo ad esempio del fine vita o dell’utilizzo o meno di energia da fonti rinnovabili, una serie di elementi che normalmente nelle certificazioni tradizionali sono presenti in modo separato. Qui l’obiettivo è invece mettere insieme questi dati per creare un vero e proprio “passaporto ambientale”, in grado di descrivere il tipo di prodotto immesso sul mercato. 

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Giornalista professionista e videomaker con esperienze in diverse agenzie di stampa e testate web. Laurea specialistica in Filosofia, master in giornalismo multimediale.