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L’utilizzo del gas fossile nel settore dei trasporti ha degli effetti dannosi per il clima che sono pari a quelli di benzina, gasolio o a quelli dei carburanti navali convenzionali. E’ quanto emerge da uno studio realizzato dall’ong Transport & Environment (T&E) che ha sottolineato come il legislatore, in una situazione di questo tipo, dovrebbe introdurre una tassazione con aliquote analoghe a quelle applicate al gasolio o alla benzina.

Insieme a Veronica Aneris, esperta nazionale per l’Italia di T&E, abbiamo approfondito alcuni aspetti del report

Quale quadro emerge dal vostro studio relativamente all’impatto del gas fossile nei trasporti? Quale approccio avete adottato nell’affrontare l’analisi?

Innanzitutto va detto che dallo studio emerge come il gas fossile abbia un impatto decisamente rilevante in termini di emissioni di CO2.

Innanzitutto va detto che dallo studio emerge come il gas fossile abbia un impatto decisamente rilevante in termini di emissioni di CO2.  L’approccio che abbiamo adottato si è caratterizzato per un’analisi approfondita, durata circa un anno, di tutti i dati disponibili in termini di emissioni “well-to-wheel” (dal pozzo alla ruota), ovvero informazioni relative alle emissioni dell’intera filiera. A questa metodologia è stato affiancato, inoltre, un approccio “well-to -wake “, ovvero “dal pozzo alla scia”, nelle parti dedicate al settore navale. In sostanza abbiamo considerato un ciclo completo che include anche tutta la filiera di approvvigionamento del metano e abbiamo effettuato una comparazione con le emissioni delle migliori tecnologie disponibili. Il risultato fondamentale è stato l’assenza di un miglioramento in termini di emissioni legato all’uso del gas fossile e anzi la possibilità di un peggioramento in quest’ambito.

Confronto con il diesel

Dal confronto delle emissioni delle auto alimentate a gas rispetto, ad esempio, a quelle alimentate a diesel cosa è emerso?

Nel caso delle auto, rispetto alle vetture alimentate a diesel, le emissioni possono ridursi del 7% o addirittura aumentare del 6%. In sintesi se la riduzione c’è è modesta, mentre in alcuni casi si ha addirittura un aumento delle emissioni e non una loro riduzione.

E per i camion e le navi?

Lo stesso vale per i camion, dove il peggioramento dei livelli delle emissioni può arrivare fino al 5%. In questo caso riveste un fattore importante anche il tipo di motore utilizzato. Per le navi, invece, rispetto al gasolio marino, c’è un miglioramento, ma dai dati emerge come le emissioni possano o essere migliorate del 12% o peggiorate del 9%. Il motivo di questo fenomeno va ricercato nel fatto che il metano, quando non viene bruciato, risulta essere un gas a effetto serra molto più potente della CO2. Se prendiamo in considerazione il Global Warming Potential (GWP), ovvero l’effetto serra associato ai diversi gas, emerge come quello relativo al metano, in un periodo di tempo pari a 100 anni, è di un valore 28 volte superiore a quello della CO2. Questo è il parametro adottato per convenzione nell’ambito del protocollo di Kyoto che noi abbiamo utlizzato nello studio. In realtà, vista la necessità di agire in maniera rapida sul cambiamento climatico e considerato che il metano resta in atmosfera circa 12 anni, se questo parametro viene spalmato su 20 anni e non su 100, l’effetto serra del metano risulta di 80 volte superiore a quello della CO2. Nello specifico quando si usa il metano bisogna considerare, ad esempio, le fuoriuscite strutturali e inevitabili del metanodotto, oppure quelle legate alla combustione.

Come valuta l’associazione il ruolo che viene attribuito attualmente al metano nei trasporti nelle politiche europee?

A nostro avviso tutta l’attenzione che viene attualmente riservata all’uso del gas nei trasporti è ingiustificata. Per essere più precisi le performance ambientali climatiche dell’uso del gas nei trasporti non giustificano importanti fondi pubblici destinati a questo tipo di carburante. I fondi pubblici europei dovrebbero essere destinati a nostro avviso a soluzioni a emissioni zero che consentono di promuovere in modo efficace la decarbonizzazione. Se concentriamo gli investimenti in infrastrutture per il gas rischiamo di creare un lock-in tecnologico in cui rimaniamo legati al gas, che comunque resta un combustibile fossile, bloccando la nostra strada verso un’energia a emissioni zero. In questo modo, ad esempio, potremmo non avere poi abbastanza risorse finanziarie da destinare invece alla realizzazione di infrastrutture per l’elettrico.

Se concentriamo gli investimenti in infrastrutture per il gas rischiamo di creare un lock-in tecnologico in cui rimaniamo legati al gas, che comunque resta un combustibile fossile, bloccando la nostra strada verso un’energia a emissioni zero.

Il biometano

Il report analizza anche il settore del biometano. Cosa emerge su questo fronte?

Se si analizza la media dei dati europei emerge come il biometano avanzato può avere emissioni di CO2 significativamente inferiori al metano. Questo combustibile deve giocare un ruolo nella decarbonizzazione dell’economia.Tuttavia bisogna considerare il fatto che la sua disponibilità è limitata. Nel report si stima che a livello medio europeo può soddisfare, nel caso venga impiegato tutto nei trasporti, al massimo il 10% della domanda. Per quanto riguarda l’Italia possiamo essere più ottimisti, nel nostro Paese ci sono delle realtà che stanno promuovendo un biometano ”fatto bene”, con una disponibilità maggiore, che può arrivare al 15- 16% .  Tuttavia rimane comunque una risorsa limitata. Per questo motivo bisogna evitare che il biometano diventi una sorta di “cavallo di troia”per permettere  al metano di “entrare”. In sostanza bisogna utilizzare questo combustibile, mettendo in atto le  giuste policy in modo che venga impiegato in applicazioni dedicate senza la necessità di un investimento estensivo di infrastrutture. Purtroppo, però, non è quello che sta accadendo. I governi devono essere consapevoli che è una fonte preziosa, ma limitata.

Dipendenza energetica

Lo scenario delineato dal report quali implicazioni può avere dal punto di vista della dipendenza energetica da altri Paesi?

Una delle principali linee dell’Europa negli ultimi anni è sempre stata quella di andare verso un’indipendenza energetica. Noi dipendiamo dai combustibili fossili per una percentuale pari all’88%. Ciò costituisce un fattore di debolezza, soprattutto a livello di Paese Italia. Andare verso il gas con la scusa del biometano non risolve la questione. In realtà così si sta solo spostando la nostra dipendenza energetica dal petrolio a un altro gas fossile. Quello che invece dobbiamo fare è concentrarci sul vettore elettrico, un settore dove possiamo avere delle eccellenze in termini di solare e eolico.

Qual è il messaggio più rilevante che volete far passare con questo report?

L’importanza per i governi di destinare i fondi pubblici responsabilmente a quelle soluzioni realmente in grado di portare il settore trasporti verso la decarbonizzazione, come la mobilità elettrica. Continuiamo a imbatterci dovunque nel luogo comune in base al quale la mobilità elettrica non è pulita. E’ opportuno , da una parte, allargare la prospettiva, comprendere che il mix elettrico, che già presenta migliori prestazioni in termini di emissioni di Co2,  diventerà sempre più verde e, dall’altra, riportare nel discorso il dimenticato tema dell’efficienza.  Un’auto a gas ha la stessa efficienza di un’auto dotata di un motore convenzionale. Un’auto elettrica ha invece un’efficienza circa tre volte maggiore, quindi se mettiamo da parte per un attimo il carburante e valutiamo il motore e la sua efficienza energetica questo elemento deve essere tenuto in considerazione. Una delle caratteristiche della mobilità sostenibile è, infatti, la riduzione del consumo di energia e l’utilizzo di fonti rinnovabili. In quest’ottica sicuramente favorire i motori a gas non aiuta. Dobbiamo decarbonizzare, non possiamo investire nel gas fossile.

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Giornalista professionista e videomaker con esperienze in diverse agenzie di stampa e testate web. Laurea specialistica in Filosofia, master in giornalismo multimediale.