Green economy: il valore aggiunto viene dalla cogenerazione

sulcisÈ prevista per il 2016 la fine dei lavori del progetto Renovo Bioenergy che punta alla realizzazione del primo bio distretto italiano. Ne paliamo con il consulente tecnico Stefano Fantini. 

Step iniziale l’insediamento di una centrale termoelettrica alimentata a biomassa vegetale nel Sulcis Iglesiente, in SardegnaCome il progetto attraverserà la Penisola per mostrare un primato nostrano nel campo delle biomasse e della produzione di pannelli isolanti, ma soprattutto, qual è la specifica tecnologica di cui parliamo? 

Questa centrale cogenerativa di 1 MWe e 4 MWt è settata per lavorare con i sottoprodotti, gli scarti delle produzioni agricole o delle attività boschive, che sono difficili da catalogare perché composti da materiale fine e molto umido”. “Solitamente questi scarti, che hanno un potere calorifero fino a 1800 kW/kg, non vengono adoperati in centrali di queste dimensioni, ma in quelle più grandi”.

Dopo un’attenta valutazione della filiera, si è optato per la riconversione dell’area ex Rockwool Italia, dismessa nel 2009; qui la tecnologia si presta perfettamente all’incenerimento degli scarti non contaminati – come le vinacce – che, data la loro scarsa qualità, non troverebbero altrimenti impiego nella produzione. Dell’elettricità generata il 15% verrà impiegato per l’autoconsumo, mentre il resto sarà immesso in rete e alimenterà l’impianto per la bioedilizia (collocato in un’altra parte del sito) che produrrà pannelli isolanti di elevata qualità; l’energia termica, invece, verrà assorbita dallo stabilimento e in parte ceduta all’industria locale, senza dispersioni.

Una tecnologia, anzi, forse un mercato, ancora in ombra?

In Italia la tecnologia c’è e ci sono anche le risorse, ma non vengono sfruttate: generalmente i costi degli impianti cogenerativi risultano troppo elevati e le aziende, all’inizio volenterose, fanno marcia indietro. Il mercato elettrico è un business conosciuto, ma c’è bisogno della compenetrazione con quello cogenerativo: finora i due si sono ‘mangiati’ il legno a vicenda, scontrandosi per lo sfruttamento della medesima risorsa. Dall’integrazione, di cui siamo sostenitori attivi, vedremo la nascita di una nuova filiera e potremo migliorare il nostro prodotto, già primato europeo.

Assetto burocratico e sistema incentivante: ostacoli oppure opportunità?

Dal punto di vista autorizzativo, in Italia, rispetto all’estero, siamo molto restrittivi, ma questo non è del tutto penalizzante. Per l’incenerimento, ad esempio, siamo particolarmente rigorosi nelle emissioni e, quindi, tra i migliori e più precisi al mondo. Questo rigore nel rilascio delle autorizzazioni è necessario, anche se spesso provoca lo scoppio di contestazioni a livello locale. Per quanto riguarda gli incentivi, che termineranno forse il prossimo anno, c’è incertezza se si guarda al futuro: attualmente le prospettive migliori si hanno per impianti inferiori a 1 MWe. L’ideale sarebbe disporre di incentivi maggiori per realizzare centrali più grandi e competere con le aziende tedesche (che dispongono di risorse boschive immense e di macchinari che tagliano e caricano direttamente il tronco senza ulteriori intermediazioni).

Ma, oltre a valutare il tipo di approvvigionamento per la centrale – terreni talvolta abbandonati, marginali o non coltivati -, l’azienda ha voluto conferire un valore sociale al progetto. La parola a Stefano Arvati, presidente di Renovo: In ogni sito ci preoccupiamo che ci sia forza lavoro disponibile a svolgere questa attività e cerchiamo l’appoggio di forme di aggregazione, in particolare di cooperative sociali svantaggiate che impieghiamo in questa filiera. A questo proposito l’accordo con CGM, il più grande consorzio di cooperative italiano, ci ha consentito di rivolgerci a persone in difficoltà (ex tossico dipendenti, ex carcerati o portatori di handicap) che vogliono lavorare”.

“Circa un anno e mezzo fa abbiamo stretto una collaborazione con la Cooperativa San Lorenzo perché abbiamo scoperto nei terreni del sud Sardegna una grande opportunità: oltre alla possibilità di preservare i boschi di sughero, anche l’occasione di recuperare materiale vergine vegetale per produrre energia e dare seguito alla bioedilizia. Creare valore aggiunto, quindi, attraverso ciò che il territorio può offrire e che, talvolta, non viene sfruttato, ma visto come una seccatura”.

Un modello “smart” che si può replicare anche in altre regioni d’Italia? 

Il coinvolgimento della risorse locali per la creazione di posti di lavori sono le chiavi con cui pervadere altre città (prevediamo di sbarcare anche in Puglia e Sicilia, ad esempio); la logica, poi, è la medesima, ovvero adoperare e gestire in maniera più sensibile le risorse già presenti nel territorio e creare valore aggiunto lì dove non è percepito. Il successo del bio distretto dipende dalla congiunzione di più interessi: da quelli territoriali a quelli economici; la speranza è che sia la finanza buona, chiamiamola etica, ad essere attratta da questo progetto. Un’iniziativa che vuole essere la basse di quella che definiamo smart city.

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