Biogas, batteri “affamati” per rendere gli impianti più efficienti

InnovationsmartUn acceleratore di processo “adattabile a qualsiasi tipo di impianto, per tecnologia e dimensione, che si applica senza alterazioni o modifiche della struttura”. E’ Bioreval, la soluzione realizzata da Biovalene Srl, una startup di Pordenone che opera nel settore della ricerca biotecnologica, della depurazione delle acque e delle soluzioni per l’efficientamento energetico.

Bioreval – spiega Fabio Messinese, amministratore delegato di Biovalenepreleva una quota di biomassa dal digestore centrale, la potenzia alimentandola con macroelementi e con batteri selezionati dai laboratori di Biovalene. All’interno degli ambienti della macchina i batteri hanno modo e tempo di moltiplicarsi aumentando la loro capacitàdigestiva: questo punto vengono immessi di nuovo nel digestore principale per coinvolgere tutte le masse presenti in questo processo di accelerazione. A seconda della propria immaginazione potremmo definire Bioreval come l’equivalente di un turbocompressore oppure come una palestra per affamare i batteri”.

Il modello standard di questa tecnologia – di cui l’azienda gestisce la progettazione, installazione, il service e la manutenzione –  lavora su impianti da 700kW a 1MW ed ha come peculiarità quella di  “operare direttamente sui materiali presenti, senza introdurre sostanze estranee”

 

Insieme a Messinese abbiamo approfondito alcuni aspetti di questa tecnologia 

 

Come nasce l’idea di realizzare Bioreval, da dove è venuto l’input per promuovere il progetto?

L’idea del progetto nasce dall’analisi di quello che ci proponeva il mercato nell’ambito del miglioramento ed efficientamento degli impianti di biogas. Ci siamo resi conto che l’approccio di tutte le tecnologie al momento presenti sul mercato era fondamentalmente o chimico o meccanico. Ciò ci ha spinto ad approcciare il discorso in maniera diversa, ovvero dal punto di vista biologico. Questo è il motivo per cui siamo partiti con questa startup e con lo sviluppo di quest’idea. 

 

Vi siete avvalsi della collaborazione di realtà esterne (centri di ricerca, università)?

Assolutamente sì, noi ci avvaliamo della collaborazione dell’ICGEB di Trieste, una struttura che fa ricerca biologica e batteriologica. Questo centro  fa molta ricerca per quanto riguarda la biologia del corpo umano, ma ha anche dei dipartimenti che si occupano di biologia in senso stretto. Avevamo avuto dei precedenti contatti per altri motivi, così abbiamo pensato di proporre loro il progetto. L’idea è piaciuta molto e con loro siamo partiti con la stesura di un primo progetto. Da lì ci siamo anche collegati all’Università di Padova dove noi lavoriamo con due dipartimenti: il Levi Cases –  un dipartimento di ingegneria biologica e chimica che ci ha sviluppato in parte la macchina e ora un secondo prodotto – e poi il dipartimento che si occupa di funghi, “De rebus palantarum”, uno spin off dell’Università di Padova.  

 

Come funziona  

Che caratteristiche particolari hanno i batteri utilizzati? Con quale criterio vengono selezionati?

I batteri che sono stati selezionati per fare questo inoculo sono venuti dallo screening che stiamo facendo su 50 centrali (la ricerca èancora in corso, ma abbiamo fatto una prima parte di screening per realizzare l’inoculo). Il criterio per la selezione è stato il loro potere metanigeno. 

Noi ci avvaliamo anche della collaborazione del CRPA (Centro di ricerche produzioni animali) di Ravenna/Reggio Emilia, loro fanno dei BMP degli impianti, ovvero valutano la resa metanigena. In altre parole, data una certa biomassa, viene inserito un inoculo e viene calcolato quanto biometano viene prodotto. Noi abbiamo fatto due prove con l’inoculo standard che CRPA  utilizza per tutti gli impianti in Italia, poi abbiamo creato degli inoculi dopo aver selezionato i batteri, facendo alcune prove e vedendo quale era la maggiore resa. Abbiamo quindi selezionato quei batteri che hanno espresso una maggiore produzione di metano. Quello che stiamo facendo ora è una caratterizzazione  del dna dei batteri selezionati, intanto abbiamo tirato fuori quelli più performanti. Tra quelli più performanti stiamo facendo uno screening per dare loro un nome preciso. 

 

Quali macroelementi vengono introdotti nella biomassa prelevata dal digestore centrale? 

Il concetto base della macchina è quello di prelevare una piccola quantità di biomassa che viene già lavorata all’interno dei digestori principale, questa biomassa, in un ambiente controllato e ridotto, viene potenziata fino alla sua massima curva di crescita in modo che i batteri vengano affamati e moltiplicati al massimo livello e poi  riinoculati nel digestore principale. Questo ciclo continuo avviene due volte al giorno, perché nella nostra macchina i minidigestori sono due, ciòserve a trasformare la flora batterica nel digestore principale. Per fare questo noi alimentiamo i batteri e l’inoculo con i batteri più potenti attraverso l’introduzione di piccolissime aliquote di basi di carbonio, azoto e fosfato. Si tratta di qualche litro per ogni ciclo.  

 

Quali sono i vantaggi di questa tecnologia, in particolare dal punto di vista dell’efficienza energetica? 

E’una macchina che ha un consumo energetico bassissimo e un costo di gestione bassissimo, perché sia l’inoculo sia l’aggiunta di questi macroelementi sono delle piccolissime quantità. Un digestore principale di un impianto da 1 megawatt ha almeno 3000 mq di materia di biomassa in lavorazione. Noi togliamo solo 3 metri cubi, li trattiamo e li inseriamo. Le altre soluzioni tecnologiche, invece, intervengono direttamente sul digestore principale, ma ciò è meno efficiente rispetto alla scelta di lavorare su piccole aliquote.  Il nostro procedimento, invece, dopo alcune settimane di assestamento, porta alla trasformazione, anche all’interno del digestore principale, e a una riduzione dell’alimentazione dell’impianto. Quella biomassa che è dentro, infatti, viene consumata in maniera più efficiente e l’impianto ha bisogno di meno alimentazione per produrre la stessa quantità di biogas.  Questa èla nostra filosofia. 

 

La mappatura genomica dei ceppi batterici 

 

Torniamo a parlare del progetto che state portando avanti per la realizzazione della prima mappatura genomica dei ceppi batterici ad alta resa presenti negli impianti di produzione del biogas. Quali ulteriori sviluppi avrà l’iniziativa

Il progetto che stiamo portando avanti con ICGB e l’università di Padova è più ampio, perché stiamo anche andando verso la direzione della ricerca di nuovi modi di produzione di biogas da materiali che oggi non possono essere utilizzati, ad esempio attraverso la disgregazione della lignina (l’idea è di spacchettarla in elementi digeribili per i batteri). E’il concetto su cui stiamo lavorando. Legato a questo progetto abbiamo deciso di realizzare questa mappatura dei microbiomi di una cinquantina di centrali per avere una conoscenza ampia del funzionamento degli impianti.  Oggi noi conosciamo quello che succede negli impianti attraverso processi inversi, invece in questo modo noi riusciamo a capire chi fa cosa all’interno dell’impianto. il progetto è attualmente in fase di completamento. Abbiamo fatto la caratterizzazione di 5 impianti da cui abbiamo estratto il primo inoculo da usare nella macchina, il progetto competo porterà via ancora tutto quest’anno. 

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Giornalista professionista e videomaker con esperienze in diverse agenzie di stampa e testate web. Laurea specialistica in Filosofia, master in giornalismo multimediale.