Calcolare il carbon footprint, approccio al processo di verifica

FoodprintL’analisi del carbon footprint sta interessando sempre più realtà industriali, ma come funziona questa procedura e cosa comporta nel normale processo aziendale? Ne parliamo con Piergiorgio Moretti, Carbon Footprint and LCA Responsible presso DNV GL Business Assurance Italia/Business Line Assessment & Training.

Cosa deve fare un’azienda che vuole avvicinarsi al carbon footprint?

In realtà tra le prime cose c’è il decidere di farlo. Questa difatti dovrebbe essere una decisione condivisa nella organizzazione proprio per la natura di tale indagine che ha a che fare con diversi aspetti dell’organizzazione, direi anzi con tutti. Quindi la prima cosa è comunicare al proprio interno tale scelta e definire l’ambito di misurazione se l’intera organizzazione o parti del servizio o di alcuni prodotti.

Altra cosa da fare è prendere confidenza con le linee guida e le norme che gestiscono questa tematica rispetto la misurazione ambientale. Nello specifico ci si basa su un metodo internazionalmente riconosciuto: il life cycle assestment del prodotto. Tale approccio è descritto nella linea guida ISO14 040 e 044. teniamo presente che stiamo parlando di norme che definiscono requisiti che però non sono certificabili. Questo vuol dire che non si possono emettere certificati sulla base di tali norme, ma si può condividere il processo di valutazione dell’impronta. C’è anche la ISO 14 067 che definisce la modalità di misura dell’anidride carbonica del gas effetto serra sull’impatto del riscaldamento globale, diciamo che è più uno strumento operativo.

Non sono norme che permettono di avere una forma di certificazione?

Stiamo parlando di norme. Il processo di certificazione avviene quando una norma è “accreditata” attraverso un organismo nazionale. In pratica andrebbero stabilite regole per i certificatori accreditati da un organismo di verifica. L’esito della verifica è un‘emissione certificata. Attualmente la norma non è accreditata, per cui si passa attraverso la produzione di documenti con dichiarazioni verificate. Stiamo parlando ancora di attività di analisi a carattere volontario. Alcune aziende usano questo tipo di indagine per conoscere meglio il loro prodotto sotto il profilo ambientale, ma anche per far conoscere ai clienti la propria sensibilità rispetto l’ambiente.

Stabilito che vogliamo effettuare una indagine sull’impronta di carbonio come procediamo?

La conoscenza di questi modelli permette di pianificare le fasi dei processi che contribuiscono a realizzare il mio prodotto o la porzione di organizzazione che sto valutando. Devo inoltre stabilire se voglio valutare il processo di produzione “fino al cancello” o calcolare l’impatto fino al consumatore finale. Devo poi stilare un elenco delle attività coinvolte nel mio processo e valutare per ognuna di esse se c’è o meno un impatto nel calcolo del carbon footprint realizzando una mappatura dei processi. Ad esempio nella filiera alimentare c’è sicuramente l’attività di campagna e gli input di tutte le componenti che hanno a che fare con gli agro-farmaci della coltivazione piuttosto che la fertilizzazione del terreno e tutte le operazioni agricole che hanno luogo durante lo sviluppo dell’ortaggio piuttosto che lo sviluppo del vino o dell’uva.

La domanda che mi devo porre è se la fase che ho evidenziato ha a che fare o meno con l’impronta di carbonio. Se la risposta è sì, dovrò includerla nella mia mappa. Se la risposta è no dovrò comunque inserirla nell’impronta di carbonio finale.

Una volta stabilito quali sono i processi che andrò a misurare devo effettuare la “caratterizzazione”, cioè trasformare quel processo in unità di misura (si esprime in kg di carbonio equivalente emessa proprio per la realizzazione del prodotto una volta arrivato al termine). Questo lavoro si presta molto bene all’analisi di quali processi influiscono di più alla valutazione del carbonio.

C’è una relazione tra emissioni ed efficienza economica del processo?  

Spesso il collegamento c’è, agire sull’impronta di carbonio può portare anche ad un efficientamento dei consumi energetici. Potrei accorgermi che ho degli sprechi nel processo industriale o che posso implementare tecnologie più economiche oltre che energeticamente più pulite.

Direi che il vero scopo di avvicinarsi a queste tematiche è cambiare il punto di vista sul proprio prodotto. Il risultato finale non è tanto il numero che viene fuori ma il lavoro che ho fatto per capirne qualcosa di più sulla mia attività.

L’approccio è oneroso?

Dipende dalla realtà delle aziende. L’impegno economico dipende anche da quanti parametri si devono valutare e come è logisticamente gestita la struttura, se sono molte o poche le sedi, poche o molte le azioni da svolgere… Tipicamente ci si rivolge a quello che potrebbe essere un esperto o un ente specialistico nella valutazione della analisi, per poi rientrare in gioco nella fase attuativa.

 Sono necessari adeguamenti per consentire la misurazione?

Nella fase di analisi no; se in seguito si vogliono prendere delle iniziative di riduzione è probabile di sì.

La misura è confrontabile?

Sì, perché se la misura viene fatta seguendo le linee guide delle ISO e la norma sul carbon footprint che ho citato prima tutti la realizzano seguendo un iter condiviso ed è verificabile anche il margine di errore. Diciamo che nelle valutazioni oggi la differenza la fa la dichiarazione realizzata da un organismo terzo o l’autodichiarazione.

Come definisce la sua esperienza con il progetto VIVA?

Un’esperienza interessante che sta continuando tutt’ora, c’è un gran numero di richieste delle aziende vitivinicole. Per questo progetto abbiamo scritto il protocollo di verifica e le regole per il calcolo dei quattro indicatori (Aria, Acqua, Territorio, Vigneto). Abbiamo una etichetta rilasciata dal MinAmbiente. La nostra attività comprende una verifica sui calcoli affinché rispettino gli schemi del Ministero.

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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.