Olio di palma, con la certificazione verso filiere più sostenibili

OliodipalmaL’importanza di una filiera completamente tracciabile. La questione del supporto ai piccoli produttori che costituiscono più del 40% dell’intera produzione mondiale. La necessità di limitare la deforestazione. Sono stati questi alcuni dei temi emersi nel corso del dibattito organizzato da RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) giovedì 9 giugno a Milano per parlare dell’olio di palma, un tema molto dibattuto che intreccia in maniera indissolubile questioni ambientali e sociali. 

Fil rouge di tutta la giornata l’importanza della certificazione, uno strumento per introdurre chiarezza nella filiera e cercare di limitare l’impatto ambientale legato ai processi produttivi. La certificazione fa parte della nostra mission”, ha spiegato Giuseppe Allocca, Presidente Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, che ha sottolineato l’importanza di una campagna di comunicazione in grado di veicolare ai cittadini corrette informazioni e la volontà di ottenere “la piena sostenibilità dell’intera filiera entro il 2020”. Detto in altri termini la parola chiave è tracciabilità, in modo da avere un iter caratterizzato il più possibile da un basso impatto ambientale in tutte le sue fasi. In questo senso, come ha affermato Stefano Savi, Direttore globale della comunicazione di RSPO, “la soluzione oggi non è la sostituzione dell’olio di palma, ma un olio di palma sostenibile”. 

Un impegno quello verso una produzione più consapevole dell’olio di palma che, come ha spiegato Laurent Cremona, Global Head of Marketing and Innovation for Nutella & Ferrero Snacks, è richiesto prima di tutto dai consumatori, sempre più sensibili alle tematiche green. Non è, infatti, più sufficiente fornire prodotti di qualità, ha affermato il manager, ma bisogna fornirli in maniera da evitare di danneggiare il Pianeta scegliendo filiere responsabili. 

In questo contesto un elemento di grande importanza è la possibilità di analizzare in maniera rigorosa l’impatto delle diverse scelte produttive sull’ambiente. Un percorso, in cui un ruolo chiave è rivestito dagli “indicatori scientifici”, come ha sottolineato Cecile Bessou, del centro di ricerca Cirad – Agricultural Research for Development. In questo modo si diventa capaci di fornire una valutazione quantificabile dei danni legati alle diverse modalità di lavorazione e distribuzione del prodotto per poter poi pianificare interventi in maniera mirata. 

A ribadire in maniera marcata la questione legata alla deforestazione Andrea Poggio, membro del Consiglio Direttivo di Legambiente che, pur sottolineando “l’importante lavoro legato alle certificazioni”, ha spiegato come questo strumento non sia sufficiente e ha indicato nel coinvolgimento dei Governi un elemento chiave della questione. “È indispensabile che accanto al lavoro di certificazione volontaria ci sia un impegno molto importante da parte dei Governi dove si produce olio di palma, un impegno volto a fermare completamente la deforestazione. Far crescere la certificazione e non fermare la deforestazione è inutile. Bisogna fare le due cose insieme”, ha detto Poggio. 

Tra i numerosi temi affrontati nel corso della giornata anche quello dei piccoli produttori indipendenti, che ha visto l’intervento del Professor Michele Fino dell’Università Scienze Gastronomiche di Pollenzo. In particolare il docente ha illustrato due “best practice” legate alla produzione della carne e dell’amaranto cercando di far comprendere come i modelli di gestione di queste filiere possano costituire un esempio virtuoso da replicare anche nel settore dell’olio di palma. (Nel video l’intervista al docente che illustra i due esempi).

http://www.youtube.com/watch?v=NgIdzPyquR8

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Giornalista professionista e videomaker con esperienze in diverse agenzie di stampa e testate web. Laurea specialistica in Filosofia, master in giornalismo multimediale.